Integrare le minoranze in Europa: intervista con Viviane Reding
Conclusa nei giorni scorsi la missione in Italia del vicepresidente della Commissione
Europea e commissario per i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane Reding.
Al centro dei colloqui istituzionali, i recenti casi di estremismo e intolleranza
accaduti in Francia, Germania e Norvegia e le politiche di integrazione delle minoranze
dei singoli Stati. Federico Piana l’ha intervistata:
R. – Well, you
known that the Commission rejects all forms… Lei sa che la Commissione rifiuta
ogni forma di terrore e di estremismo violento, e di questo abbiamo visto molto: l’abbiamo
visto in Germania, recentemente con il terrorismo nazista, l’abbiamo visto in Norvegia
quando un folle ha ucciso dozzine di giovani, abbiamo visto nei giorni scorsi le aggressioni
di Tolosa e di Montauban… Tutto questo è per noi motivo di grande preoccupazione.
Il recente rapporto sul terrorismo di Europol conferma che tendenzialmente individui
“soli” sono coinvolti in attacchi terroristici, e ovviamente è più difficile individuare
individui soli perché non sono strutturati, perché non sono gruppi. Quindi, il processo
per comprenderli è piuttosto complesso. Ma siamo fortemente preoccupati per l’ispirazione
ideologica di questi individui: spesso le idee politiche di movimenti populisti nell’Unione
Europea sono indirettamente responsabili degli attacchi terroristici. Sono l’ossigeno
per queste persone, e rappresentano le condizioni per essere accettati e per punti
di vista estremi. Penso che dobbiamo contrastare questi movimenti populisti estremi.
D.
– I singoli Stati e le istituzioni europee quali misure concrete debbono mettere in
atto per tentare di arginare in maniera efficace questi fenomeni?
R. – It is
of course responsibility of the member state... Ovviamente, la responsabilità è
dello stesso Stato membro. Noi abbiamo qualche difficoltà con gli strumenti tradizionali
per l’applicazione della legge, perché questi non sono mai stati adeguati all’estremismo
e alle ideologie che lo sostengono. Anche le esperienze nei diversi Stati membri sono
ampie e molto diversificate tra loro: alcuni Stati membri hanno sviluppato strategie
e piani d’azione, mentre altri hanno appena iniziato a riflettere su questo problema.
Questo è il motivo per cui Europa ha voluto aiutare gli Stati membri lanciando, nel
settembre scorso, la “Radicalisation awareness network” (Rete per la consapevolezza
della radicalizzazione), al fine di supportare gli Stati membri a livello locale.
Aiutiamo i capi delle comunità, gli insegnanti, la polizia, le vittime e le associazioni
che sono nella posizione migliore per comprendere quello che la gente pensa di come
questi gruppi vengono a formarsi. Sono i professionisti quelli che vogliamo aiutare
con questa "Rete di consapevolezza".
D. – Secondo lei, che relazione c’è fra
le attuali politiche europee dei singoli Stati per l’integrazione delle minoranze
e l’impennata di casi di intolleranza e di estremismo?
R. – Well, it is not
possible to draw a very clear link… Non è possibile stabilire un collegamento chiaro
tra la radicalizzazione violenta di individui e il più ampio problema dell’integrazione
dei migranti. E questo non lo dico come una giustificazione, ma perché veramente sono
convinta che per quanto riguarda l’integrazione degli immigrati tutti noi – Stati
membri ed Europa – non stiamo facendo tutto quello che potremmo. L’integrazione dei
migranti in Europa è una faccenda che non ha avuto un grande successo: sappiamo che
si tratta di un’impresa a lungo termine, che è un processo che coinvolge molte dimensioni
e che tutti devono collaborare: i migranti, i cittadini, le società locali. L’anno
scorso, la Commissione ha adottato un’agenda europea per l’integrazione di persone
provenienti da un Paese terzo, aiutando con corsi di lingua, facilitando l’accesso
al lavoro e l’accesso all’istruzione, ed edificando la capacità socio-economica, al
fine di supportare le società fondamentali ed anche i nuovi membri nella loro integrazione
in queste stesse società. (gf)