Guerra civile in Mali: diplomazia al lavoro per mediare tra governo e ribelli tuareg
Lo Stato africano del Mali è in piena guerra civile. La ribellione, guidata dal Movimento
nazionale di liberazione dell'Azawad (Mnla), dell’etnia tuareg, è iniziata a metà
gennaio per l'indipendenza del nord del Paese e ieri ha portato alla conquista di
Timbuctu. I tuareg chiedono la costituzione di una Repubblica laica e democratica.
Ma cosa c’è all’origine di questo conflitto? Giancarlo La Vella ne ha parlato
con l’esperto di Africa, Enrico Casale, della rivista dei Gesuiti "Popoli":
R. – All’origine
della rivolta in Mali, c’è un’insoddisfazione di base del popolo tuareg, che già prima
dell’indipendenza chiese di non entrare nelle istituzioni del Mali e, successivamente
all’indipendenza, si ribellò più volte contro il governo centrale di Bamako. Questa
rivolta poi, in particolare - oltre all’insoddisfazione - è legata anche alla crisi
Libica. Molti tuareg che oggi combattono contro l’esercito maliano sono ex militari
che hanno combattuto con Gheddafi e, una volta caduto il regime in Libia, sono tornati
in patria carichi di armi provenienti, appunto, dagli arsenali libici.
D. –
Lottare per una Repubblica laica e democratica: questo l’obiettivo dichiarato da parte
dei tuareg ...
R. – L’obiettivo del Mnla è quello di creare uno Stato democratico
e aconfessionale, anche perché i tuareg hanno cercato di tenere ai margini quelle
frange fondamentaliste, che pure ci sono nel nord del Mali: teniamo presente che in
quella regione, negli ultimi anni, i miliziani di Al Qaeda del Maghreb islamico hanno
creato delle proprie basi. L’Mnla, però, ha sempre rifiutato qualsiasi confusione
tra loro e queste cellule, protagoniste tra l’altro di rapimenti clamorosi a danno
di alcuni cooperanti.
D. – La caduta di una città importante come Timbuctu
e la proposta ai tuareg di un cessate-il-fuoco da parte del governo centrale: è una
sorta di riconoscimento della forza di questa etnia...
R. – Certamente, questa
etnia è forte. Non ci sono però solamente i tuareg, ma anche altre popolazioni del
nord che combattono al loro fianco. I tuareg sono un’etnia compatta, che grazie agli
armamenti e alla formazione che hanno avuto alcuni suoi componenti – proprio nell’esercito
di Muammar Gheddafi – è riuscita ad avere facilmente ragione di un esercito, quello
maliano, scarsamente equipaggiato e poco addestrato.
D. – Quale posizione ha
assunto la Chiesa in Mali, in occasione di questa guerra civile?
R. – Il vescovo
di Bamako si è espresso in questi giorni per un cessate-il-fuoco tra le due parti
e ha proposto una mediazione della Chiesa. La stessa Chiesa ha cercato di lavorare
affinché non si creassero spaccature eccessive dopo il golpe tra il passato regime
e i militari golpisti. E’ una Chiesa di “minoranza” in un Paese in cui la maggioranza
è comunque musulmana.
D. – Quali sono gli interessi in gioco, in questa guerra
in Mali?
R. – Ci sono forti interessi da parte delle potenze occidentali, mi
riferisco soprattutto a Stati Uniti e Francia – quest’ultima ex Paese colonizzatore
del Mali – per lo sfruttamento delle risorse naturali che, si dice, siano abbondanti.
Nel nord c’è il petrolio, del quale sarebbero stati scoperti giacimenti molto vasti,
e l’uranio. Bisogna tenere presente che nel vicino Niger vengono sfruttati giacimenti
di uranio. Questi giacimenti sarebbero confinanti con quelli del Mali. La Francia,
soprattutto, ma in parte anche gli Stati Uniti, sono interessati a sfruttare questi
giacimenti e ad evitare che cadano sotto il controllo cinese, come è capitato proprio
in Niger. Quindi, al di là delle rivendicazioni dei tuareg, ci sono forti ragioni
economiche alla base dei questa rivolta.
D. – Gli scontri di questi giorni
avvengono in che tipo di Paese, dal punto di vista sociale ed economico?
R.
– Il Mali è un Paese molto frazionato: le popolazioni del sud hanno un’origine subsahariana,
quindi sono africane nere, mentre quelle del nord sono di origine saheliana, più legate
al mondo arabo musulmano. Dal punto di vista economico, il Mali è uno dei Paesi più
poveri dell’Africa e le regioni settentrionali sono le più povere regioni del Paese.
Quindi, tra le ragioni della rivolta ci sono anche delle rivendicazioni perché siano
fatti investimenti in infrastrutture per le popolazioni delle regioni settentrionali:
nel nord, praticamente, non esistono strade asfaltate, non ci sono scuole se non nei
centri principali, non esistono servizi sanitari, salvo alcuni dispensari creati con
i soldi delle rimesse delle comunità tuareg che si trovano nel resto del mondo. (cp)