Giornata mondiale Onu sull'autismo, patologia che colpisce tra le 2 e le 5 persone
su mille
“I piccoli della luna”: per la loro difficoltà di comunicare con il mondo esterno
così sono chiamati i bimbi affetti da autismo. Si tratta di una malattia neuropsichiatrica
che colpisce dalle 2 alle 5 persone ogni mille – in Italia 400 mila ne sono affetti
– per lo più maschi e compare di solito entro i primi tre anni di vita, secondo i
dati Società italiana di neuropsichiatria infantile, diffusi per l’odierna Giornata
mondiale di sensibilizzazione indetta dall’Onu. In quest’occasione, molti monumenti
del mondo si sono illuminati di blu, compreso l’Arco di Costantino a Roma. Per approfondire
il "mondo" dell’autismo, Debora Donnini ha intervistato Maria Giulia Torrioli,
professore associato di Neuropsichiatria infantile del Policlino Gemelli:
R. – Un tempo,
la diagnosi veniva fatta molto più tardi mentre adesso si fa molto più precocemente,
dando ovviamente maggiori possibilità di intervento. Il sintomo fondamentale dell’autismo
è la mancanza di contatto con il mondo esterno: si può andare da una reale assenza
di rapporto, fino alla difficoltà, da parte del bambino, ad avere un contatto normale
con i propri coetanei e con le altre persone. C’è uno spettro che è enorme: parliamo
di autismo, di spettro autistico, di sindrome di Asperger.
D. – Oggi si interviene
anche quando c’è un solo sintomo ...
R. – Oggi si interviene cercando anche
di fare, in qualche modo, prevenzione: non si aspetta di vedere che un bambino abbia
tutti i sintomi per cercare di combatterli, perché molto spesso un’educazione fatta
in una maniera particolare – con interventi particolari – può far sì che non si arrivi
ad una diagnosi di autismo, ma ci si limiti a entrare solo nello "spettro" autistico.
D.
– Come si interviene?
R. – Gli interventi sono in minima parte farmacologici,
per la gran parte sono riabilitativi, con un particolare tipo di educazione – sia
per il bambino, sia di sostegno alle famiglie – e questo prima si comincia, meglio
è. Si va dalla psicoterapia – di cui non tutti riconoscono la funzione nell’autismo
– fino ad un’educazione a comportarsi in un certo modo.
D. – Questo perché
i bambini autistici oltre a non avere contatti, spesso non riescono a capire quando
devono dire qualcosa o ad aspettare gli interventi degli altri...
R. – Sì,
se io non ho contatto, non capisco cosa sta succedendo intorno a me: questo è il fondamento
dell’autismo. Se non capisco quello che succede intorno a me, non capisco gli altri
e perché si comportano in una determinata maniera e non posso comportarmi in una maniera
adeguata. Più io riesco precocemente a intervenire per mettere il bambino il più possibile
in una buona relazione con il prossimo, più sto combattendo l’autismo.
D. –
Bruno Morabito, presidente di Divento Grande Onlus, chiede più assistenza, soprattutto
quando si esce dall’infanzia e si va verso l’età adulta. Lei è d’accordo? Serve più
impegno?
R. – Tutti i momenti di cambiamento sono difficili, in particolare
per i bambini che hanno difficoltà, nell’autismo soprattutto ma anche in altre situazioni.
Se ci sono abbastanza strutture, anche se magari non sufficienti, per i bambini piccoli,
molto poco c’è per i ragazzi più grandi che hanno bisogno di aiuto.
D. – Sono
state fatte varie ipotesi nel corso degli anni sulla causa dell’autismo. Quali sono
oggi quelle più accreditate?
R. – Si sa che è una malattia non psicologica
ma che ha una base neurologica. Quindi, sono bambini che hanno un problema di sviluppo
organico. Poi, si sa che è una malattia multifattoriale. Diverse cose si conoscono,
ma non ancora tutte.
D. – E’ presente però anche una parte psicologica...
R.
– La parte psicologica c’è sicuramente, in quanto, l’autismo incide nella vita. Ci
sono gradi diversissimi di autismo e su questo un buon aiuto, su base psicologica,
è importantissimo.
D. – E’ vero che l’autismo può essere legato anche a genialità
in alcuni campi?
R. – Sì, soprattutto nella sindrome di Asperger, in cui ci
possono essere degli squilibri nello sviluppo. Ci sono quindi bambini e adulti che
eccellono in alcuni campi, ma che poi hanno delle cadute clamorose nella vita pratica.
Non bisogna più considerare una diagnosi di autismo, come una condanna a morte – come
è stato per tanti anni – perché si riconoscevano soltanto le forme più gravi. Sono
bambini che, se aiutati, possono condurre una vita non normale ma quasi, e comunque
molto accettabile da un punto di vista anche sociale. (cp)