Elezioni in Myanmar: netta vittoria di Aung San Suu Kyi
Giornata storica in Myanmar: trionfo di Aung San Suu Kyi alle elezioni Birmane che
segnano il ritorno in Parlamento del premio Nobel per la pace dopo 15 anni di detenzione.
Plauso dall’Ue, dalla Casa Bianca, dal Capo dello Stato italiano Napolitano e dalla
Conferenza episcopale locale. Il servizio di Paola Simonetti….
L’evento è considerato
epocale per un paese come la Birmania: il partito della leader filo-democratica San
Suu Kyi ha vinto con ampi margini le elezioni suppletive che si sono tenute in Myanmar
nel fine settimana, conquistando 40 dei 45 seggi disponibili, su 1160. La vittoria,
confermata dalla Commissione elettorale, sancisce il ritorno in Parlamento, dopo 15
anni di detenzione di cui gli ultimi sette ai domiciliari, del premio Nobel per la
pace che ha parlato di "vittoria del popolo" ed ha raccomandato ai suoi sostenitori
"di bandire ogni comportamento ostile ad altre organizzazioni". Grande il plauso a
livello internazionale: l’Ue giudica queste elezioni un segno “incoraggiante” per
un ritorno alla democrazia, confermando il suo sostegno al processo di riforma in
corso nel Paese, mentre congratulazioni a tutto il popolo birmano sono giunte dalla
Casa Bianca e dal Capo dello Stato italiano Napolitano. Vede nel voto l’avvio di un'era
di grande speranza monsignor Raymond Saw Po Ray, presidente della ''Commissione giustizia
e pace'' della Conferenza episcopale locale, che si è detto convinto che San Suu Kyi
lavorerà per l'interesse e il bene comune”.
"Speriamo che questo sia l'inizio
di una nuova era di coinvolgimento del popolo della politica del nostro Paese", ha
detto oggi il premio Nobel per la Pace parlando ai suoi sostenitori. L'Asean, tra
l'altro, ha definito la tornata elettorale "libera e trasparente". Ma come definire
questo risultato elettorale? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Stefano
Caldirola, docente di Storia Contemporanea dell’Asia presso l’Università di Bergamo:
R. - Dal punto
di vista politico è un grandissimo risultato per Aung San Suu Kyi e per il suo partito,
la Lega per la Democrazia, anche se poi di effettivo poco cambia, perché si trattava
di 45 seggi su 664: indubbiamente, però, la giornata elettorale può segnare una svolta
nella politica birmana.
D. - La consultazione, che poi è stata la terza in
mezzo secolo, può essere considerata uno spartiacque rispetto a più di un ventennio
di repressione?
R. - Le consultazioni elettorali sono state quelle con un maggior
grado di libertà e di partecipazione rispetto a quelle del 1990, che la Lega per la
Democrazia di Aung San Suu Kyi aveva vinto nettamente, ma che erano state poi annullate
dalla Giunta militare. Non è ancora possibile dire quanto sia effettivamente libero
il processo democratico ed elettorale in Birmania, in quanto anche gli stessi osservatori
dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e dell’Asean sono stati ammessi alle consultazioni
non con mesi di anticipo o con settimane di anticipo come di norma è previsto, ma
soltanto alcune ore prima del voto. E’ certo che chi sostiene la sostanziale libertà
di questa consultazione elettorale ha dalla sua il dato del risultato, che indubbiamente
serve ancor più rispetto a quelle che sono state le effettive libertà degli osservatori.
D. - Alla vigilia delle elezioni, tra l’altro, la stessa Aung San Suu Kyi
ha denunciato la possibilità di brogli elettorali: ora questa sua vittoria può essere
messa in dubbio o esaltata rispetto ai risultati?
R. - Certamente il rischio
di brogli elettorali denunciato da Aung San Suu Kyi era a favore dei candidati vicini
ad alcuni elementi della Giunta militare. Le consultazioni - visti i risultati - sono
state probabilmente più libere di quanto la stessa Aung San Suu Kyi si aspettasse.
D. - Il nuovo presidente, l’ex generale Thein Sein, ha concesso aperture importanti,
tra le altre cose: la liberazione dei prigioni politici, l’allentamento della censura
per i media…. Queste aperture possono essere interpretate come il voler sottrarsi
alla Cina - il suo maggior alleato regionale - puntando invece ad ottenere la revoca
delle sanzioni economiche?
R. - All’interno del potere birmano vi è una fazione
che cerca di allentare i legami con la Cina, che cerca di riavvicinarsi agli Stati
occidentali con l’obiettivo dell’annullamento delle sanzioni: sanzioni che hanno rappresentato
un colpo economico piuttosto duro per la Birmania, soprattutto nel settore tessile
con la perdita tra i 60 mila e gli 80 mila posti di lavoro. Vi è inoltre una parte
consistente della leadership del Myanmar che soffre e che non vede particolarmente
di buon occhio l’enorme e preponderante presenza cinese, soprattutto nell’economia.
D. - Non c’è il pericolo di una restaurazione come quella del ’90, quando
le elezioni vinte da Aung San Suu Kyi furono annullate e fu imposta la legge marziale?
R.
- Questo è un pericolo che in Myanmar c’è sempre, soprattutto perché adesso con la
vittoria di Aung San Suu Kyi e del suo partito la palla passa nel campo dei militari.
Sappiamo, anche se in realtà poco viene fatto trapelare all’esterno, che ci sono delle
divisioni all’interno della leadership birmana che ai cosiddetti moderati - come Thein
Sein - che cercano un dialogo con l’Occidente, si contrappone una fazione invece filo-cinese,
ma anche una fazione di militari che sono oltranzisti e che non vedono assolutamente
di buon occhio le aperture democratiche. Per cui adesso ci sarà probabilmente una
dialettica all’interno degli stessi militari e dal risultato di questo probabile scontro
politico, dipenderà poi molto il processo effettivo di ulteriore apertura democratica
del Paese.
D. - Anche alla luce del risultato elettorale, il Myanmar oggi
che Paese è?
R. - Il Myanmar è un Paese in una fase di transizione; è un Paese
che ha ancora degli enormi problemi economici; è un Paese ancora molto povero, in
cui il potere è ancora detenuto da poche decine di famiglie e poche decine di militari:
è di fatto un Paese che si sta apprestando ad aprirsi al mondo. Una delle conseguenze,
ad esempio, della possibile revoca delle sanzioni e della possibile democratizzazione
del Paese potrebbe essere anche un aumento - che è già stato registrato nel corso
degli ultimi due anni - di visitatori e quindi un incremento del settore turistico
e dei contatti generali con il mondo esterno. Quindi si tratta di un Paese ancora
relativamente chiuso, ma che è in una fase di rapida apertura come del resto quasi
tutti i Paesi che lo circondano. (mg)