Donare se stessi: l'invito del Papa ai giovani nella Messa della Domenica delle Palme
In una Piazza San Pietro gremita e colorata dal verde delle palme, il Papa ha celebrato
la Santa Messa della Domenica delle Palme, “il grande portale – ha detto Benedetto
XVI – che ci introduce nella Settimana Santa”. Nell’omelia, ha ripercorso gli episodi
evangelici della guarigione del cieco Bartimeo e della processione di Gesù verso Gerusalemme.
Il Papa ha ricordato i sentimenti di speranza di coloro che acclamano il Messia “desiderato
e finalmente giunto”. Da qui “l’invito ad assumere il giusto sguardo sull’umanità
intera”; uno sguardo di benedizione “capace di cogliere la bellezza del mondo e di
compatirne la fragilità”. Ma cosa c’è nel cuore di chi acclama Cristo? E’ la domanda
del Papa che ricorda come sia cruciale capire chi è per noi Gesù di Nazareth, “un
Messia che non ci assicura una facile felicità terrena ma la felicità del cielo”.
Infine, rivolgendosi ai giovani, Benedetto XVI ha ricordato che la Domenica delle
Palme è il giorno della decisione di accoglierlo e di seguirlo fino in fondo. Lode
e ringraziamento sono i sentimenti di questi giorni e al dono grande che Gesù ci ha
fatto con la sua vita bisogna rispondere “in modo adeguato, ossia con il dono di noi
stessi, del nostro tempo, della nostra preghiera, del nostro stare in comunione profonda
d’amore con Cristo che soffre, muore e risorge per noi”.
Il testo dell’omelia
del Papa:
Cari fratelli e sorelle!
La Domenica delle Palme è il
grande portale che ci introduce nella Settimana Santa, la settimana nella quale il
Signore Gesù si avvia verso il culmine della sua vicenda terrena. Egli sale a Gerusalemme
per portare a compimento le Scritture e per essere appeso sul legno della croce, il
trono da cui regnerà per sempre, attirando a sé l’umanità di ogni tempo e offrendo
a tutti il dono della redenzione. Sappiamo dai Vangeli che Gesù si era incamminato
verso Gerusalemme insieme ai Dodici, e che a poco a poco si era associata a loro una
schiera crescente di pellegrini. San Marco ci racconta che già alla partenza da Gerico
c’era una «grande folla» che seguiva Gesù (cfr 10,46).
In quest’ultimo tratto
del percorso si verifica un particolare evento, che aumenta l’attesa di ciò che sta
per accadere e fa sì che l’attenzione si concentri ancora di più su Gesù. Lungo la
strada, all’uscita da Gerico, sta seduto a mendicare un uomo cieco, di nome Bartimeo.
Appena egli sente dire che sta arrivando Gesù di Nazaret, incomincia a gridare: «Figlio
di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (Mc 10,47). Si cerca di farlo tacere, ma
inutilmente; finché Gesù lo fa chiamare e lo invita ad avvicinarsi. «Che cosa vuoi
che io faccia per te?», gli chiede. E quegli: «Rabbunì, che io veda di nuovo!” (v.
51). Gesù risponde: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Bartimeo riacquistò la vista
e si mise a seguire Gesù lungo la strada (cfr v. 52). Ed ecco che, dopo quel segno
prodigioso, accompagnato da quella invocazione «Figlio di Davide», un fremito di speranza
messianico attraversa la folla facendo sorgere in molti una domanda: quel Gesù, che
camminava davanti a loro verso Gerusalemme, era forse il Messia, il nuovo Davide?
E con il suo ingresso ormai imminente nella città santa, era forse giunto il tempo
in cui Dio avrebbe finalmente restaurato il regno davidico?
Anche la preparazione
dell’ingresso, che Gesù fa insieme ai suoi discepoli, contribuisce ad aumentare questa
speranza. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo odierno (cfr Mc 11,1-10), Gesù
arriva a Gerusalemme da Betfage e dal Monte degli ulivi, cioè dalla strada su cui
avrebbe dovuto venire il Messia. Da lì, Egli manda avanti due discepoli, comandando
loro di portargli un puledro di asino, che avrebbero trovato lungo la via. Essi trovano
effettivamente l’asinello, lo slegano e lo conducono a Gesù. A questo punto, gli animi
dei discepoli e anche degli altri pellegrini sono presi dall’entusiasmo: prendono
i loro mantelli e li mettono sul puledro; altri li stendono sulla strada davanti a
Gesù, che avanza in groppa all’asino. Poi tagliano rami dagli alberi e cominciano
a gridare parole del Salmo 118, antiche parole di benedizione dei pellegrini che diventano,
in quel contesto, una proclamazione messianica: «Osanna! Benedetto colui che viene
nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna
nel più alto dei cieli!» (vv. 9-10). Questa acclamazione festosa, trasmessa da tutti
e quattro gli Evangelisti, è un grido di benedizione, un inno di esultanza: esprime
l’unanime convinzione che, in Gesù, Dio ha visitato il suo popolo e che il Messia
desiderato finalmente è giunto. E tutti sono lì, con la crescente attesa per l’opera
che il Cristo compirà una volta entrato nella sua città.
Ma qual è il contenuto,
la risonanza più profonda di questo grido di giubilo? La risposta ci viene dall’intera
Scrittura, la quale ci ricorda che il Messia porta a compimento la promessa della
benedizione di Dio, la promessa originaria che Dio aveva fatto ad Abramo, il padre
di tutti i credenti: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò … e in te si diranno
benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2-3). È la promessa che Israele
aveva tenuto sempre viva nella preghiera, in particolare nella preghiera dei Salmi.
Per questo, Colui che è acclamato dalla folla come il benedetto è, nello stesso tempo,
Colui nel quale sarà benedetta l’umanità intera. Così, nella luce del Cristo, l’umanità
si riconosce profondamente unita e come avvolta dal manto della benedizione divina,
una benedizione che tutto permea, tutto sostiene, tutto redime, tutto santifica.
Possiamo
scoprire qui un primo grande messaggio che giunge a noi dalla festività di oggi: l’invito
ad assumere il giusto sguardo sull’umanità intera, sulle genti che formano il mondo,
sulle sue varie culture e civiltà. Lo sguardo che il credente riceve da Cristo è lo
sguardo della benedizione: uno sguardo sapiente e amorevole, capace di cogliere la
bellezza del mondo e di compatirne la fragilità. In questo sguardo traspare lo sguardo
stesso di Dio sugli uomini che Egli ama e sulla creazione, opera delle sue mani. Leggiamo
nel Libro della Sapienza: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi
gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami
tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
… Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita»
(Sap 11,23-24.26).
Ritorniamo alla pagina evangelica odierna e domandiamoci:
che cosa c’è realmente nel cuore di quanti acclamano Cristo come Re d’Israele? Certamente
avevano una loro idea del Messia, un’idea di come dovesse agire il Re promesso dai
profeti e a lungo aspettato. Non è un caso che, pochi giorni dopo, la folla di Gerusalemme,
invece di acclamare Gesù, griderà a Pilato: «Crocifiggilo»! E gli stessi discepoli,
come pure altri che lo avevano visto e ascoltato, rimarranno ammutoliti e smarriti.
La maggior parte, infatti, era rimasta delusa dal modo in cui Gesù aveva deciso di
presentarsi come Messia e Re di Israele. Proprio qui sta il nodo della festa di oggi,
anche per noi. Chi è per noi Gesù di Nazaret? Che idea abbiamo del Messia, che idea
abbiamo di Dio? È una questione cruciale, questa, che non possiamo eludere, tanto
più che proprio in questa settimana siamo chiamati a seguire il nostro Re che sceglie
come trono la croce; siamo chiamati a seguire un Messia che non ci assicura una facile
felicità terrena, ma la felicità del cielo, la beatitudine di Dio. Dobbiamo allora
chiederci: quali sono le nostre vere attese? quali i desideri più profondi, con cui
siamo venuti qui oggi a celebrare la Domenica delle Palme e ad iniziare la Settimana
Santa?
Cari giovani, che siete qui convenuti! Questa è in modo particolare
la vostra Giornata, dovunque nel mondo è presente la Chiesa. Per questo vi saluto
con grande affetto! La Domenica delle Palme sia per voi il giorno della decisione,
la decisione di accogliere il Signore e di seguirlo fino in fondo, la decisione di
fare della sua Pasqua di morte e risurrezione il senso stesso della vostra vita di
cristiani. E’ la decisione che porta alla vera gioia, come ho voluto ricordare nel
Messaggio ai Giovani per questa Giornata - «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil
4,4) -, e come avvenne per santa Chiara di Assisi, che, ottocento anni or sono, trascinata
dall’esempio di san Francesco e dei suoi primi compagni, proprio nella Domenica delle
Palme, lasciò la casa paterna per consacrarsi totalmente al Signore: aveva diciotto
anni ed ebbe il coraggio della fede e dell’amore, di decidersi per Cristo, trovando
in Lui la gioia e la pace.
Cari fratelli e sorelle, siano in particolare due
i sentimenti di questi giorni: la lode, come hanno fatto coloro che hanno accolto
Gesù a Gerusalemme con i loro «osanna»; ed il ringraziamento, perché in questa Settimana
Santa il Signore Gesù rinnoverà il dono più grande che si possa immaginare: ci donerà
la sua vita, il suo corpo e il suo sangue, il suo amore. Ma a un dono così grande
dobbiamo rispondere in modo adeguato, ossia con il dono di noi stessi, del nostro
tempo, della nostra preghiera, del nostro stare in comunione profonda d’amore con
Cristo che soffre, muore e risorge per noi. Gli antichi Padri della Chiesa hanno visto
un simbolo di tutto ciò nel gesto della gente che seguiva Gesù nel suo ingresso in
Gerusalemme, il gesto di stendere i mantelli davanti al Signore. Davanti a Cristo
– dicevano i Padri – dobbiamo stendere la nostra vita, le nostre persone, in atteggiamento
di gratitudine e di adorazione. Riascoltiamo, in conclusione, la voce di uno di questi
antichi Padri, quella di sant’Andrea, Vescovo di Creta: «Stendiamo, dunque, umilmente
innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi
fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con
la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o
meglio, di tutto lui stesso ... e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese
... per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma
trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno,
assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: “Benedetto colui che viene nel nome del
Signore, il re d’Israele”» (PG 97, 994). Amen!