2012-03-31 15:45:18

Ospedali psichiatrici giudiziari verso la chiusura


Entro il primo febbraio 2013 gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani (Opg) dovranno chiudere. La legge intende colpire l’inadeguatezza delle strutture e, in alcuni casi, la disumanità cui ospiti e personale sono costretti. Ma c’è una data, molto più ravvicinata, entro cui gli enti locali avrebbero dovuto presentare un piano di accoglimento dei circa 1300 internati: il 31 marzo, ovvero oggi. Cosa succederà il prossimo anno, alla chiusura degli Opg, che di diverso dai manicomi psichiatrici hanno solo il nome? Chi si occuperà di accogliere, riabilitare e assicurare il diritto alla salute di oltre 1300 cittadini? Luca Attanasio lo ha chiesto al senatore Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Salute in Carcere, e a Daniela Pezzi, membro della Consulta regionale per la Salute Mentale, rappresentante della Caritas Diocesana di Roma.

Senatore Roberto Di Giovan Paolo, facciamo innanzitutto una fotografia della situazione degli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia:

R. - Attualmente sono sei, più uno a Sollicciano, che però non è proprio un Opg. Ci sono quasi 1300 pazienti e, di questi, 200 avrebbero diritto di uscire e altri avrebbero, probabilmente, la possibilità di avere dei benefici di legge.

D. - Tra meno di un anno gli Opg dovrebbero chiudere…

R. - La legge fissa al primo febbraio del 2013 una data entro la quale deve iniziare l’uscita dagli Opg. La data importante è quella del 31 marzo, (oggi - ndr) perché entro questa data doveva esser fatta una circolare, di iniziativa del Ministero della Salute - il che segna già il passaggio della salute dalla Giustizia al Servizio sanitario nazionale -, che deve indicare i criteri, una volta sentite le regioni. Abbiamo persone che hanno bisogno di assistenza che provengono da tutte le regioni. Devo ammettere che, almeno in questa legge, il governo ed il Parlamento hanno messo più di 130 milioni di euro per due anni, e questo ci permetterà quindi di tentare un investimento. Questo, però, deve essere affiancato dal fatto che le regioni che non hanno degli Opg e le regioni che, eventualmente, vogliono cambiare gli Opg stessi, investano creando dei luoghi ad hoc, ad esempio le case-famiglia o comunque dei luoghi di accoglienza, dove queste persone, liberate dal fatto di essere internate per motivi di sicurezza, devono comunque essere curate con un trattamento specifico ed individuale come prevede la legge nel Servizio sanitario nazionale.

D. - Daniela Pezzi, referente per la salute mentale della Caritas diocesana di Roma. Lei ha visitato ripetutamente gli ospedali psichiatrici giudiziari d’Italia. Comincerei da una prima definizione di questi luoghi…

R. - Credo di non esagerare nel definire questi i luoghi dell’orrore. Una realtà che somma l’orrore della vita in carcere all’orrore di una vita in manicomio. E’ un luogo dove la priorità della cura è subordinata alle misure della sicurezza. Il malato di mente che ha commesso un reato o la persona che, stando in carcere, diventa affetta da una qualche malattia mentale, lì dovrebbe trovare la sua risposta di cura in un contesto che, per definizione, è nato per attuare una sicurezza.

D. - Entro il 31 marzo le regioni sono chiamate a fornire requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi per accogliere queste persone…

R. - Se gli Opg vanno chiusi, le 1400 persone devono uscir fuori. Dove vanno? Ad oggi, ancora non conosciamo quali sono i requisiti che le istituzioni hanno definito. Quelli esistenti vanno chiusi, però ci vogliono garanzie ed intendo garanzie istituzionali: innanzitutto a certezza della cura, la migliore possibile, quando gli internati verranno trasferiti. (vv)








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