Ospedali psichiatrici giudiziari verso la chiusura
Entro il primo febbraio 2013 gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani (Opg) dovranno
chiudere. La legge intende colpire l’inadeguatezza delle strutture e, in alcuni casi,
la disumanità cui ospiti e personale sono costretti. Ma c’è una data, molto più ravvicinata,
entro cui gli enti locali avrebbero dovuto presentare un piano di accoglimento dei
circa 1300 internati: il 31 marzo, ovvero oggi. Cosa succederà il prossimo anno, alla
chiusura degli Opg, che di diverso dai manicomi psichiatrici hanno solo il nome? Chi
si occuperà di accogliere, riabilitare e assicurare il diritto alla salute di oltre
1300 cittadini? Luca Attanasio lo ha chiesto al senatore Roberto Di Giovan
Paolo, presidente del Forum per la Salute in Carcere, e a Daniela Pezzi, membro della
Consulta regionale per la Salute Mentale, rappresentante della Caritas Diocesana di
Roma.
Senatore Roberto Di Giovan Paolo, facciamo innanzitutto una fotografia
della situazione degli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia:
R. - Attualmente
sono sei, più uno a Sollicciano, che però non è proprio un Opg. Ci sono quasi 1300
pazienti e, di questi, 200 avrebbero diritto di uscire e altri avrebbero, probabilmente,
la possibilità di avere dei benefici di legge.
D. - Tra meno di un anno gli
Opg dovrebbero chiudere…
R. - La legge fissa al primo febbraio del 2013 una
data entro la quale deve iniziare l’uscita dagli Opg. La data importante è quella
del 31 marzo, (oggi - ndr) perché entro questa data doveva esser fatta una circolare,
di iniziativa del Ministero della Salute - il che segna già il passaggio della salute
dalla Giustizia al Servizio sanitario nazionale -, che deve indicare i criteri, una
volta sentite le regioni. Abbiamo persone che hanno bisogno di assistenza che provengono
da tutte le regioni. Devo ammettere che, almeno in questa legge, il governo ed il
Parlamento hanno messo più di 130 milioni di euro per due anni, e questo ci permetterà
quindi di tentare un investimento. Questo, però, deve essere affiancato dal fatto
che le regioni che non hanno degli Opg e le regioni che, eventualmente, vogliono cambiare
gli Opg stessi, investano creando dei luoghi ad hoc, ad esempio le case-famiglia o
comunque dei luoghi di accoglienza, dove queste persone, liberate dal fatto di essere
internate per motivi di sicurezza, devono comunque essere curate con un trattamento
specifico ed individuale come prevede la legge nel Servizio sanitario nazionale.
D.
- Daniela Pezzi, referente per la salute mentale della Caritas diocesana di
Roma. Lei ha visitato ripetutamente gli ospedali psichiatrici giudiziari d’Italia.
Comincerei da una prima definizione di questi luoghi…
R. - Credo di non esagerare
nel definire questi i luoghi dell’orrore. Una realtà che somma l’orrore della vita
in carcere all’orrore di una vita in manicomio. E’ un luogo dove la priorità della
cura è subordinata alle misure della sicurezza. Il malato di mente che ha commesso
un reato o la persona che, stando in carcere, diventa affetta da una qualche malattia
mentale, lì dovrebbe trovare la sua risposta di cura in un contesto che, per definizione,
è nato per attuare una sicurezza.
D. - Entro il 31 marzo le regioni sono chiamate
a fornire requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi per accogliere queste
persone…
R. - Se gli Opg vanno chiusi, le 1400 persone devono uscir fuori.
Dove vanno? Ad oggi, ancora non conosciamo quali sono i requisiti che le istituzioni
hanno definito. Quelli esistenti vanno chiusi, però ci vogliono garanzie ed intendo
garanzie istituzionali: innanzitutto a certezza della cura, la migliore possibile,
quando gli internati verranno trasferiti. (vv)