Nei cinema "I colori della Passione", film ispirato a un quadro di Bruegel
Sugli schermi italiani da ieri “I colori della Passione”, un film in cui il regista
polacco Lech Majewski, famoso nel campo della video arte, fa prendere vita al dipinto
“La salita al Calvario” di Bruegel, mettendone in luce la ricchezza dei simboli e
dei significati teologici. Un’esperienza visiva profonda e indimenticabile. Il servizio
di Luca Pellegrini:
Il quadro si
anima. Lo spettatore entra in un epico capolavoro della pittura fiamminga, “La salita
al Calvario” di Pieter Bruegel il Vecchio, che ambienta il sacrificio di Gesù nelle
Fiandre del XVI secolo. Le figure, centinaia, che popolano il dipinto raccontano la
loro storia – di povertà, di dolore, di vita – cercando di dare ragione del perché
il pittore li ha fissati per sempre sulla sua tela, disposti a corona attorno al suo
cuore: Cristo piegato a terra sotto il peso della Croce. Lech Majewski ci fa entrare
in questo brulichio di personaggi anonimi con inimmaginabile ricchezza cromatica,
una suggestione che rapisce. Abbiamo chiesto all’artista e regista che cosa l’ha maggiormente
affascinato di questo quadro:
“First of all, it’s a phantastic painting… Prima
di tutto, è un quadro fantastico. Se lo guardi, ti rendi conto che è un capolavoro:
i colori, la gente, l’atmosfera… Bruegel è stato anche un ottimo compositore, per
il modo in cui dispone gli oggetti ed è anche un grande psicologo per come riesce
a coinvolgerti nell’ammirare quello che sta accadendo nel quadro: sembra che i suoi
soggetti, le persone, non si fermino davanti a te, sono profondamente immersi nel
loro mondo. Ma poi, quando riesce a catturarti, a coinvolgerti, i tuoi occhi iniziano
a viaggiare: lui è un grande cantastorie. Poi, inizi a scoprire il linguaggio simbolico
che usa: infatti, lui nasconde molti significati e questo – io penso – lo rende diverso
da chiunque altro. Credo che sia il più grande filosofo tra i pittori”.
Sotto
la mole degli eventi, dice il pittore interpretato da Rutger Hauer, mentre il ruolo
di Maria è sostenuto da Charlotte Rampling, “il nostro Salvatore è stato macinato
come grano senza pietà”. Bruegel diventa, quindi, anche un filosofo e un teologo:
“Because
of the way he treats his main subject like in the way to Calvary… Proprio
per il modo in cui lui gestisce il suo personaggio principale. Ad esempio, nella Via
Crucis, tu non vedi subito Gesù Cristo che porta la croce, perché è distante, dietro
alla folla. La sofferenza di Cristo molto spesso è presentata in primo piano, perché
Lui è il personaggio più importante nel dipinto. Non così in Bruegel: egli sposta
Cristo nel sottofondo e questa è una grande verità in avvenimenti di questo genere.
Bruegel dice: se nella nostra vita accade qualcosa di importante, noi non lo vediamo,
perché non vediamo al di là del nostro naso. Questo è il suo sorprendente messaggio.
Egli ci dice: anche se sei giù, se il tuo mondo fisico crolla, se sei a terra, quando
stai per essere cancellato dalla faccia della terra, questo ancora non significa che
tu sia morto”.
Pensa dunque che l’arte possa esprimere concetti teologici?
“I
think any important art has to have a theological concept. … Credo che ogni
arte importante debba fondarsi su un concetto teologico. Non c’è arte senza di esso.
Sarebbe un’arte tronca, o lobotomizzata. Quale sia il tuo senso di gioia per il dubbio,
questa è un’altra faccenda. Ma non si può vivere senza, per così dire”. (gf)