Crisi: sbloccare il credito per uscire dalla recessione e ridare fiducia
Una recessione implacabile quella che si è abbattuta sull’Italia con un ulteriore
calo del Pil a -1,6% nel primo trimestre del 2012. Una situazione rispecchiata dalla
debole produzione industriale e dalla sfiducia che domina nelle famiglie. Nonostante
la stretta creditizia e i casi estremi dei suicidi degli imprenditori costretti con
le spalle al muro, tutti i vertici istituzionali, dal premier al capo dello Stato,
premono sulla necessità di procedere con le riforme strutturali e la severità fiscale.
Stefano Leszczynski ha intervistato Luigi Paganetto, presidente della
Fondazione economia dell’Università di Tor Vergata:
R. – Intanto,
bisogna notare che noi siamo in recessione ma altri Paesi europei non lo sono. Questo
ci deve mettere sull’avviso rispetto all’esigenza di prendere strade con sostegni
forti all’economia, perché credo che a questo punto sia necessario parlare di concrete
iniziative per spingere verso la strada dello sviluppo. Credo che questo sia molto
importante e ritengo pure che sia preoccupante l’idea che le aspettative siano a ribasso:
cioè, tutti si aspettano a questo punto un altro anno di recessione e non è detto
che la svolta sia dietro l’angolo. Ecco perché bisogna invertire le previsioni, perché
altrimenti rischiamo di ritardare una ripresa che tutti ormai aspettano da tempo.
D.
– Quanto è importante il credito per ridare fiducia a chi poi deve far ripartire l’economia?
R.
– Credo sia particolarmente importante. Direi che è più importante che parlare di
articolo 18. Se è vero che il credito è l’alimento dello sviluppo, nel momento stesso
in cui ci sono difficoltà del sistema bancario – che ha avuto le sue conseguenze rispetto
a una crisi che ha investito tutto il sistema finanziario internazionale. In questo
momento, bisogna utilizzare al meglio quella provvidenziale forma di sostegno che
è venuta dall’Europa – dalla Banca centrale europea guidata da Mario Draghi, con l’abbassamento
dei tassi all1% – in una dimensione tale che se pure non la si usasse tutta per fare
credito alle imprese e alle famiglie, certamente una parte importante potrebbe essere
ad esse dedicata e in questo momento consentirebbe una spinta importante.
D.
– Fino all’anno scorso si diceva: gli imprenditori e le imprese non fanno abbastanza
per rilanciare l’economia. Oggi, il dito è puntato contro le banche che fermano il
credito alle imprese. Nel frattempo nel nordest arriviamo a casi drammatici di suicidi
tra gli imprenditori che non riescono a fare andare avanti le aziende…
R. –
In molti casi, è importante un’attenzione mirata riguardo il territorio da parte del
sistema bancario. Il sistema bancario italiano ha sempre avuto una caratteristica
che l’ha reso distinguibile: essere cioè molto presente sul territorio, seguendo il
settore delle imprese passo passo e conoscendo le situazioni di ciascuno. Questo è
un po’ cambiato quando ci sono state le aggregazioni. Tante banche si sono messe insieme
hanno fatto dei grandi gruppi bancari che naturalmente hanno i loro vantaggi, in termini
di presenza internazionale, ma poi finiscono per ridurre il contatto con il territorio
e probabilmente se riuscissimo a riprendere questo contatto ci potrebbe essere una
quantità di informazioni in più che possano consentire – quando, caso per caso, ci
sia la possibilità di farlo -– di sostenere le imprese che magari si possono riprendere.
Io credo che questo sia molto importante in questo momento. (bf)