Credenti e non credenti uniti per la legalità: è l'impegno preso al "Cortile dei Gentili"
di Palermo
“Cultura della legalità e società multireligiosa” è stato il tema a Palermo di un
nuovo appuntamento del ‘Cortile dei Gentili’, la struttura vaticana nata per promuovere
il dialogo tra credenti e non credenti. Dopo il prologo di ieri sera nel Duomo di
Monreale, con la conferenza del card. Ravasi, intellettuali e religiosi di diversa
estrazione si sono incontrati a Palazzo Steri, sede del Rettorato, per ribadire la
collaborazione contro l’illegalità. In serata un momento di testimonianze e spettacolo
sul sagrato della cattedrale palermitana. Il servizio del nostro inviato, Fabio
Colagrande:
Credenti e
non credenti sono chiamati, oggi più che mai, a unire i loro sforzi in una lotta culturale
per la legalità che presuppone il contributo delle religioni. E’ l’impegno preso ieri
nel capoluogo siciliano da studiosi cattolici e non, coordinati dai docenti dell’Università
palermitana. Il ‘Cortile’ siciliano si è aperto con una discussione sul tema ‘Giustizia
umana e giustizia divina’ che ha messo in evidenza le contraddizioni di una sub-cultura
come quella mafiosa che rifiuta il giudizio dell’uomo e invoca il giudizio positivo
di Dio, pretendendolo e – a volte purtroppo – ottenendolo da uomini della Chiesa.
Un abbraccio mortale, quello tra Chiesa e mafia, che il ‘Cortile’ palermitano ha stigmatizzato
e condannato senza appello, giustizia divina e giustizia terrena non si separano.
Nel pomeriggio si è riflettuto anche sulla sfida che pluralismo e multiculturalismo
rappresentano oggi per l’età dei diritti e del ruolo che le religioni possono assumere
nello spazio pubblico. Per Giuliano Amato le democrazie europee debbono rivalutare
le religioni come fondamento dei valori morali.
“Questo è un punto su cui
oggi l’Europa è molto influenzata dal secolarismo d’impronta francese e deve invece
riscoprire l’America. Deve riscoprire la vicenda di una società che ha inteso essere
profondamente religiosa, al di fuori di qualunque possibile contaminazione tra Stato
e religione”.
In serata il Cortile ha mostrato la sua anima più popolare,
in un incontro di parole e musica di fronte alla cattedrale, per rivelare come credenti
e non credenti portino avanti, spesso nel silenzio, il loro impegno per la legalità,
contro la mafia.
Sul significato di questa iniziativa del Cortile dei
Gentili organizzata a Palermo, ascoltiamo la riflessione del procuratore nazionale
antimafia Pietro Grasso:
R.
– Intanto è importantissimo – secondo me – il luogo: Palermo. Palermo è sì, la sede
originaria della mafia, ma è anche la sede dell’antimafia; Palermo è stata al centro,
nel 2000, della firma, da parte di tutto il mondo, della Convenzione contro la criminalità
organizzata. E questo grande bisogno di etica, questa rivolta morale - che oggi è
così importante - è anche molto vicino alla posizione pastorale, religiosa, ecclesiale.
Io penso che questo incontro possa dare grandi frutti, soprattutto perché abbiamo
bisogno di sentire queste voci, questi consensi, per continuare nella nostra lotta,
nella nostra repressione. Purtroppo, bisogna parlarne e c’è bisogno di continuare
a parlarne, sempre di più, anche a costo di ribadire concetti già noti.
D.
– La Chiesa dovrebbe impegnarsi ulteriormente, in tutte le sue forme, sul territorio,
per combattere l’illegalità?
R. – Io, nella mia lunga esperienza professionale,
ho avuto l’opportunità di interrogare tanti mafiosi. Uno di questi, che si era deciso
a collaborare, confessava qualcosa come un centinaio di omicidi, e alla mia domanda
come mai si professasse cattolico praticante, mi rispose in maniera disarmante: “Le
giuro sulla testa dei miei figli, signor giudice, io non ho mai ucciso nessuno per
un mio interesse personale”. Chiaramente, questa non può essere considerata una giustificazione.
Questo annullamento dell’uomo mafioso, del soldato mafioso è qualcosa da psicoanalizzare,
piuttosto che da giustificare. Però, deve darci l’esatta misura di una realtà difficile
in cui operare. E allora lì la Chiesa deve far sì che il discorso del Vangelo sia
portato in mezzo alla gente e che non si possa applicare il perdono in maniera assoluta,
senza nessun paletto. E quindi, contro questa realtà noi dobbiamo reagire uniti, insieme
alla Chiesa, con magistratura, forze di polizia, istituzioni e cittadini, tutti insieme,
uniti per combattere questo fenomeno che – badiamo bene – è un fenomeno che toglie
la libertà ai cittadini, che toglie la democrazia, che è un’ingiustizia, che è un’oppressione.
Ancora oggi, tanta gente vive oppressa dal pizzo, dal racket; tanta gente è preda
di violenza, di intimidazioni …
D. – Naturalmente, non può mancare la repressione…
R.
– Assolutamente no. Quella è la base da cui partire. Anche perché dalla repressione
nasce poi spesso la collaborazione, il pentimento. Abbiamo casi di pentimento veramente
sentito, di persone che anche dopo vent’anni hanno avuto una crisi morale e hanno
capito quanto avessero sbagliato. Queste situazioni dobbiamo valorizzarle; dobbiamo
farle conoscere alla gente e far comprendere come, appunto, tutti insieme si può vincere.
Ma la Chiesa dev’essere vicina e sempre più spesso deve far sentire questa sua vicinanza.
(gf)
Partecipa all’incontro anche mons. Carmelo Cuttitta, vescovo ausiliare
e vicario generale dell’arcidiocesi di Palermo. Ecco il suo commento:
R. – La legalità
riguarda non solo Palermo. La ricerca e la cultura della legalità vanno costruite
esattamente in tutto il mondo, a Palermo come a Milano o in tutte le altre città.
Certo, non possiamo tacere che Palermo ha una sua storia: se è stata chiamata la capitale
della mafia, è stata chiamata anche la capitale della lotta contro la mafia. L’approccio
alla mafia fino agli anni dopo la guerra era un approccio completamente diverso. Possiamo
dire che la Chiesa ha preso coscienza in modo particolare del fenomeno mafioso come
fenomeno da osteggiare, da combattere, soprattutto come fenomeno che nulla ha a che
fare con la fede e con il Vangelo, negli anni Settanta-Ottanta, e in modo particolare
quando la Sicilia – e Palermo nello specifico – è stata colpita dalle uccisioni più
gravi: il prefetto Dalla Chiesa, i giudici Falcone e Borsellino nel ’92, e nel ’93
don Pino Puglisi.
D. - E oggi, questo incontro nel Cortile dei Gentili a Palermo
può essere un’occasione, anche, per rivalorizzare l’eredità lasciata da padre Pino
Puglisi?
R. – Senza dubbio, perché don Pino Puglisi è stato un sacerdote palermitano
che ha rifiutato con la sua vita, ed ha anche insegnato a rifiutare la cultura della
illegalità. Pensiamo alla sua parrocchia a Brancaccio e pensiamo al lavoro che lui
ha svolto nei tre anni di sua permanenza in quel territorio. La sua era una promozione
della gente, una promozione culturale ma culturale nel senso più ampio del termine,
cioè della vita stessa, della coltivazione dell’uomo. E per questa ragione lui ha
scelto proprio le fasce più giovani, i bambini, i ragazzi, sapendo perfettamente che
una personalità ormai strutturata più difficilmente riesce a cambiare. Io lo definirei
un grande educatore delle coscienze, che poi in realtà è quello che il presbitero
deve fare all’interno del popolo di Dio.
D. – Mons. Cutitta, questo Cortile
quale simbolo può rappresentare anche per il prosieguo dell’attività pastorale della
vostra arcidiocesi, la diocesi di Monreale, e un po’ di tutta la Chiesa siciliana?
R.
– Se rimane soltanto una occasione, limitata anche nel tempo, a nulla serve; se invece
riesce ad incidere in qualche modo nei ragazzi, nei bambini che in un modo o nell’altro
sono stati coinvolti, se anche riuscisse a smuovere un po’ la sonnolenza delle popolazioni
che qui vivono, e riuscisse a risvegliare il senso dell’appartenenza ad una cultura,
che è quella siciliana - che è anche religiosa e senso della legalità e della capacità
di vivere reciprocamente sullo stesso territorio con culture e religioni differenti
- questo sarà sicuramente un grande vantaggio. (gf)