Appello del Cir all'Europa: porre fine alle tragedie di immigrati nel Mediterraneo
Sono la risposta operativa ai trafficanti di persone e alle politiche di respingimento.
Si tratta di raccomandazioni politiche contenute in un Rapporto presentato dal Consiglio
italiano rifugiati (Cir), per promuovere vie d’accesso alla protezione in favore di
richiedenti asilo e rifugiati. L’intento del Cir è di favorire l’introduzione di misure
che consentano di raggiungere l’Unione Europea in modo protetto e regolare. Proposte
che possano dare una possibilità diversa a chi fugge da guerre e persecuzioni, rispetto
a quella di pagare criminali o attraversare il mare rischiando la vita. Il documento
verrà presentato alle istituzioni europee e, in seconda battuta, ai singoli Stati
membri. Tra le priorità: ovviare, con un visto specifico, al punto che obbliga il
richiedente asilo a formulare la domanda solo quando fisicamente presente nel territorio
di un paese dell’Unione. FrancescaSabatinelli ha intervistato ChristopherHein, direttore del Cir:
R. - La questione
è di aprire almeno un canale per un ingresso regolare e protetto di un certo numero
di persone, che hanno bisogno di avere protezione in Europa e che attualmente non
soltanto sono costrette a pagare i trafficanti ma anche a rischiare la vita. Sappiamo
purtroppo dalle statistiche del 2011 che il 5% di chi ha lasciato la Libia per arrivare
a Lampedusa, in Sicilia, o a Malta, non è mai arrivato perché è naufragato e quindi
disperso in mare.
D. - Avete fatto oltre cento interviste ad addetti ai lavori
per poi elaborare queste proposte. Quali sono le più importanti?
R. - Noi presentiamo
un piano di misure che possono essere adottate immediatamente, quindi senza un cambio
della normativa in vigore, per poi essere inserite in un percorso a lungo termine
che porterà verso una normativa vincolante per gli Stati membri. In un primo momento,
parliamo di un uso flessibile dell’uso dei visti di ingresso. Pensiamo che, effettivamente,
la discrezionalità che oggi hanno le ambasciate nel rilasciare un visto debba essere
regolata da direttive, da indicazioni date in certi momenti, in certe circostanze,
circa la facoltà di rilasciare un visto per motivi di protezione. L’Italia lo ha fatto
in alcuni casi – come ad esempio in Iran – la Francia lo sta facendo in questo momento
in favore di persone che sono a rischio di vita e di tortura in Siria. Quindi, ci
sono precedenti di questo tipo. Però sono precedenti di assoluta volontarietà, senza
alcuna armonizzazione di questa prassi tra gli Stati membri, e alla fine il numero
dei beneficiari è troppo modesto. Questo è il succo della questione: anticipare come
opzione la possibilità di presentare una richiesta di protezione, ancor prima di essere
arrivato fisicamente. Questo comincia a livello dei singoli Stati. Poi però bisogna
metterlo a regime per l’Unione Europea perché i singoli Stati diranno: “Perché proprio
tutti noi?” Deve essere una cosa condivisa con una solidarietà all’interno di tutti
gli Stati dell’Unione.
D. – Quegli stessi Stati dell’Unione che hanno adottato,
nel tempo, politiche sempre più restrittive. Forse anche a causa della grave crisi
economica che c’è in questo momento, non sembra che questi Stati siano intenzionati
ad ammorbidire le loro posizioni nei confronti dei rifugiati o richiedenti asilo…
R. - In 25 anni, abbiamo fatto, o è stato fatto, un grande sforzo per edificare
una fortezza, praticamente un muro invisibile, all’interno dell’Unione Europea, rendendo
impossibile l’entrata alla maggior parte delle persone e quindi ottenere in modo regolare
un visto. È logico anche dire: “Ok, questa fortezza ormai esiste non facciamoci illusioni
che venga abbattuta così”. Però, ogni fortezza ha il suo ponte di ingresso e questi
ponti di ingresso vanno costruiti. Penso sia, da una parte, una questione di buon
senso e, dall’altra – e lo voglio sottolineare – una questione di costi, perché tutto
il denaro investito in questi meccanismi di sorveglianza, di controllo che sono stati
istituiti, almeno in parte sarebbe meglio dirottarlo verso misure positive piuttosto
che repressive. (bi)
GanjiReza, giornalista e rifugiato iraniano,
è in Italia da tre anni. E’ arrivato grazie a un visto turistico concessogli dall’ambasciata
italiana a Teheran. Poco prima di partire, era il 2009, era stato arrestato mentre
conduceva una trasmissione in diretta per una web tv vicina al candidato riformista
Mousavi:
R. – (parole
in persiano)... Era una situazione molto confusa, e mi sentivo in grande pericolo,
perché in continuazione mi arrivavano notizie di colleghi arrestati, torturati… Non
pensavo nemmeno al mio futuro lavorativo, a cosa mi sarebbe potuto accadere: in quel
momento, volevo solo salvare la mia vita. E’ sempre difficile quando poi ad un certo
punto scegli di abbandonare il tuo Paese ed andare via.
D. – Lei è venuto in
Italia con un visto turistico. Però, ci sono molti dei suoi colleghi che sono rimasti
in Iran e che non riescono a partire …
R. – (parole in persiano)... Praticamente
ci sono poche possibilità; sostanzialmente, sono due. Una è quella di decidere di
lasciare il Paese arrivando nei Paesi più vicini attraversando i confini in maniera
illegale: la seconda “possibilità” è quella di restare in Iran, perché non c’è altra
possibilità oppure perché si è scelto di rimanere. Spesso, però, queste persone sono
state arrestate, torturate e condannate per avere svolto lavoro di giornalista e per
avere informato la società di quello che stava accadendo.
D. – Proprio per
la sua esperienza, lei è testimone di quanto si renda sempre più necessario che l’Europa
faciliti le pratiche di ingresso per i richiedenti asilo e protezione umanitaria …
R.
– (parole in persiano)... E’ vero: mi sento un testimone, anche perché da quando
mi trovo in Italia ho conosciuto tantissime persone che si sono trovate nella mia
situazione eppure non hanno avuto la possibilità di uscire dal Paese con un visto
di protezione, ma hanno dovuto intraprendere altre strade, molto più pericolose e
sostanzialmente non legali. Anche loro avrebbero dovuto avere la possibilità che ho
avuto io, in quel momento. Penso che se una persona, nel momento in cui si sente in
pericolo, riesce ad uscire dal Paese in maniera legale, senza dover uscire illegalmente,
avrà in futuro anche maggiore possibilità di tornare nel proprio Paese, magari quando
la situazione è meno pericolosa. Invece, chi esce illegalmente rimane segnato. E questo
sarebbe un bene anche per l’Europa stessa: se i rifugiati, i richiedenti asilo politico,
potessero risolvere il problema, un giorno, e tornare nel proprio Paese a continuare
la loro vita, questo sarebbe un bene anche per la comunità europea. (gf)