2012-03-26 14:00:37

A Roma l'ultimo saluto a Michele Silvestri, caduto in Afghanistan. Con noi, mons. Pelvi


Funerali di Sato, questa sera, nella Basilica Romana di Santa Maria degli Angeli per il sergente Michele Silvestri, ucciso sabato scorso in un attacco ad una base italiana in Afghanistan. Stamane l’arrivo del feretro avvolto nel tricolore all’aeroporto militare di Ciampino, quindi nel pomeriggio l’allestimento della camera ardente al Policlinico Militare "Celio". Intanto restano gravi le condizioni di due dei cinque soldati italiani ferititi nell’attentato. A celebrare le esequie sarà l’ordinario militare in Italia, mons. Vincenzo Pelvi. Paolo Ondarza lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – Michele Silvestri era un giovane ricco di umanità, di generosità; era convinto che la pace potesse costruirsi con un pezzo di pane, una scuola, un sorriso, un abbraccio ai bambini.

D. – La sua testimonianza può essere letta come un "dare la vita", anche in senso evangelico?

R. – Certamente, l’amore dei nostri militari è un amore di gratuità. Questi nostri militari, lo stesso Michele, non badano a custodire la loro stessa vita. Mi ha detto la mamma di Michele che ogni volta che Michele partiva per la missione, gli raccomandava di essere attento, ma lui era così spontaneo da dirle che quella era la vocazione a cui era stato chiamato e per quella vocazione era disposto a tutto. L’unica ragione della vita del militare è dare la vita: anche con la morte si dà ragione alla vita, in questa direzione di carità e di promozione dell’uomo.

D. – Michele Silvestri lascia una giovane moglie ed un bambino, oltre ai genitori e ai familiari più vicini, agli amici. Quale conforto per chi resta?

R. – Io alla moglie, come alla mamma, ho consegnato una coroncina e ho visto che entrambe stringevano questa coroncina tra le mani e chiedevano al Signore di essere aiutate a superare questo momento. Lo stesso bambino – so che Michele quotidianamente affidava il bambino, nella preghiera, al Signore – secondo il dire del parroco, ogni volta che andava in parrocchia pregava per il padre. Questa circolarità di preghiera, credo possa essere la risposta alla domanda: “Dio ci ha abbandonati?” Certamente non ci ha abbandonati, perché questa famiglia non ha ignorato la presenza del Signore.

D. – Ritiene che a questo punto sia opportuno interrogarsi sulla permanenza della missione italiana in Afghanistan?

R. – Io penso che noi non dobbiamo fermarci a questi momenti. Noi siamo lì non per la guerra, siamo lì per portare la bontà, che è innata nell’uomo e che è recepita anche dall’afghano. Penso che le nostre missioni siano anche una forma di pedagogia. (ap)







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