In mezzo milione per la Messa a León. Il Papa: vivere la gioia di essere cristiani,
no alla fede superficiale e abitudinaria
Circa 500mila persone hanno partecipato alla Messa presieduta da Benedetto XVI nel
Parco del Bicentenario a León, nella terza giornata del viaggio suo apostolico in
Messico. Nell'omelia, il Pontefice ha invitato i fedeli a resistere “alla tentazione
di una fede superficiale e abitudinaria, a volte frammentaria ed incoerente. Anche
qui – ha detto - si deve superare la stanchezza della fede e recuperare la gioia di
essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo
e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie per servire
Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a sua disposizione,
senza ripiegarsi sul proprio benessere”. Di seguito il testo dellì’omelia:
Cari
fratelli e sorelle,
Sono contento di essere tra voi, e desidero ringraziare
vivamente Mons. José Guadalupe Martín Rábago, Arcivescovo di Leòn, per le sue gentili
parole di benvenuto. Saluto l'Episcopato messicano, come pure i Signori Cardinali
e gli altri Vescovi qui presenti, in particolare quelli che provengono dall'America
Latina e dai Caraibi. Rivolgo inoltre il mio cordiale saluto alle Autorità che ci
accompagnano e a tutti coloro che si sono riuniti per partecipare a questa Santa Messa
presieduta dal Successore di Pietro.
"Crea in me, Signore, un cuore puro"
(Sal 50,12), abbiamo invocato nel Salmo responsoriale. Questa esclamazione mostra
la profondità con la quale dobbiamo prepararci per celebrare, la prossima settimana,
il grande mistero della passione, morte e risurrezione del Signore. Questo ci aiuta
anche a guardare nel profondo del cuore umano, specialmente nei momenti che uniscono
dolore e speranza, come quelli che attraversa attualmente il popolo messicano ed anche
altri popoli dell'America Latina.
L'anelito di un cuore puro, sincero, umile,
gradito a Dio, era già molto sentito da Israele, man mano che prendeva coscienza della
persistenza del male e del peccato nel suo seno, come un potere praticamente implacabile
ed impossibile da superare. Non restava che confidare nella misericordia di Dio onnipotente
e nella speranza che Egli cambiasse dal di dentro, dal cuore, una situazione insopportabile,
oscura e senza futuro. Così si aprì la strada al ricorso alla misericordia infinita
del Signore, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr
Ez 33,11). Un cuore puro, un cuore nuovo, è quello che si riconosce impotente da sé
stesso e si mette nelle mani di Dio per continuare a sperare nelle sue promesse. In
questo modo, il salmista può dire convinto al Signore: “torneranno a te i peccatori”
(Sal 50,15). E, verso la fine del salmo, darà una spiegazione che è contemporaneamente
una ferma confessione di fede: “Un cuore affranto e umiliato, tu non lo disprezzi”
(v. 19).
La storia di Israele narra anche grandi gesta e battaglie, ma
nel momento di affrontare la sua esistenza più autentica, il suo destino più decisivo,
cioè la salvezza, più che nelle proprie forze, ripone la sua speranza in Dio che può
ricreare un cuore nuovo, non insensibile e arrogante. Questo può ricordare oggi ad
ognuno di noi ed ai nostri popoli che, quando si tratta della vita personale e comunitaria,
nella sua dimensione più profonda, non basteranno le strategie umane per salvarci.
Si deve ricorrere anche all'unico che può dare vita in pienezza, perché Egli stesso
è l'essenza della vita ed il suo autore, e ci ha fatto partecipi di essa attraverso
il suo Figlio Gesù Cristo.
Il Vangelo di oggi prosegue facendoci vedere
come questo antico anelito alla vita piena si è realizzato realmente in Cristo. Lo
spiega san Giovanni in un passaggio nel quale si incrociano il desiderio di alcuni
greci di vedere a Gesù ed il momento in cui il Signore sta per essere glorificato.
Alla domanda dei greci, rappresentanti del mondo pagano, Gesù risponde dicendo: “È
venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato” (Gv 12,23). Risposta strana
che sembra incoerente con la domanda dei greci. Che cosa c’entra la glorificazione
di Gesù con la richiesta di incontrarsi con Lui? In realtà c'è una relazione. Qualcuno
potrebbe pensare - osserva san Agostino - che Gesù si sentisse glorificato perché
andavano da Lui i pagani; qualcosa di simile all'applauso della moltitudine che dà
“gloria” ai grandi del mondo, diremmo oggi. Ma non è così. “Conveniva che alla sublimità
della sua glorificazione precedesse l'umiltà della sua passione” (In Joannis Ev.,
51, 9: PL 35, 1766).
La risposta di Gesù, che annuncia la sua passione imminente,
dice che un incontro occasionale in quei momenti sarebbe superfluo e forse ingannevole.
Quello che i greci vogliono vedere, in realtà lo vedranno innalzato sulla croce, dalla
quale Egli attirerà tutti a sé (cfr Gv 12,32). Lì inizierà la sua “gloria”, a causa
del suo sacrificio di espiazione per tutti, come il chicco di grano caduto in terra,
che, morendo, germina e dà frutto abbondante. Incontreranno Colui che, sicuramente
senza saperlo, andavano cercando nel loro cuore: il vero Dio che si rende riconoscibile
a tutti i popoli. Questo è anche il modo in cui Nostra Signora di Guadalupe ha mostrato
il suo divino Figlio a san Juan Diego. Non come un eroe portentoso da leggenda, ma
come il vero Dio per il quale si vive, il Creatore delle persone, della vicinanza
e della prossimità, il Creatore del Cielo e della Terra (cfr Nican Mopohua, v. 33).
Ella, in quello momento, fece quello che aveva già sperimentato nelle Nozze di Cana.
Davanti all’imbarazzo per la mancanza di vino, indicò chiaramente ai servi che la
via a seguire era suo Figlio: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5).
Cari
fratelli, venendo qui ho potuto avvicinarmi al monumento a Cristo Re, in cima la “Cubilete”.
Il mio venerato Predecessore, il beato Papa Giovanni Paolo II, benché lo desiderasse
ardentemente, non poté visitare questo luogo emblematico della fede del popolo messicano,
nei suoi viaggi a questa cara terra. Sicuramente oggi si rallegrerà dal cielo che
il Signore mi abbia concesso la grazia di poter stare ora con voi, così come avrà
benedetto i tanti milioni di messicani che hanno voluto venerare, recentemente, le
sue reliquie in tutti gli angoli del Paese. Ebbene, in questo monumento si rappresenta
Cristo Re. Ma le corone che lo accompagnano, una da sovrano ed un'altra di spine,
indicano che la sua regalità non è come molti la intesero e la intendono. Il suo regno
non consiste nel potere dei suoi eserciti per sottomettere gli altri con la forza
o la violenza. Si fonda su un potere più grande, che conquista i cuori: l'amore di
Dio che Egli ha portato al mondo col suo sacrificio e la verità, di cui ha dato testimonianza.
Questa è la sua signoria che nessuno gli potrà togliere e che nessuno deve dimenticare.
Per questo è giusto che, innanzitutto, questo santuario sia un luogo di pellegrinaggio,
di preghiera fervente, di conversione, di riconciliazione, di ricerca della verità
e accoglienza della grazia. A Lui, a Cristo, chiediamo che regni nei nostri cuori,
rendendoli puri, docili, pieni di speranza e coraggiosi nella loro umiltà.
Anche
oggi, da questo parco, con il quale si vuole ricordare il bicentenario della nascita
della Nazione messicana, che ha unito molte differenze, ma con un destino ed un’aspirazione
comuni, chiediamo a Cristo un cuore puro, dove egli possa abitare come Principe della
pace, “grazie al potere di Dio, che è il potere del bene, il potere dell'amore”. E,
affinché Dio abiti in noi, bisogna ascoltarlo, bisogna lasciarsi interpellare dalla
sua Parola ogni giorno, meditandola nel proprio cuore, sull’esempio di Maria (cfr
Lc 2,51). Così cresce la nostra amicizia personale con Lui, si impara quello che Egli
attende da noi e si riceve incoraggiamento per farlo conoscere agli altri.
In Aparecida, i Vescovi dell'America Latina e dei Caraibi hanno colto con lungimiranza
la necessità di confermare, rinnovare e rivitalizzare la novità del Vangelo, radicata
nella storia di queste terre “dall'incontro personale e comunitario con Gesù Cristo
che susciti discepoli e missionari” (Documento conclusivo, 11). La Misión Continental
che si sta portando avanti, diocesi per diocesi, in questo Continente, ha precisamente
l’obiettivo di far arrivare questa convinzione a tutti i cristiani e alle comunità
ecclesiali, affinché resistano alla tentazione di una fede superficiale e abitudinaria,
a volte frammentaria ed incoerente. Anche qui si deve superare la stanchezza della
fede e recuperare “la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità
interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono
anche le energie per servire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana,
per mettersi a sua disposizione, senza ripiegarsi sul proprio benessere” (Discorso
alla Curia Romana, 22 dicembre 2011). Lo vediamo molto bene nei Santi, che si dedicarono
completamente alla causa del Vangelo con entusiasmo e con gioia, senza badare ai sacrifici,
anche quello della propria vita. Il loro cuore era una opzione incondizionata per
Cristo dal quale avevano imparato ciò che significa veramente amare fino alla fine.
In questo senso, l’“Anno della fede”, che ho convocato per tutta la Chiesa,
“è un invito ad un'autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del
mondo… La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto
e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia” (Lett. ap. Porta fidei,
11 ottobre 2011, 6.7).
Chiediamo alla Vergine Maria che ci aiuti a purificare
il nostro cuore, specialmente nell’avvicinarci alla celebrazione delle feste di Pasqua,
affinché giungiamo a partecipare meglio al Mistero di salvezza del suo Figlio, come
Ella lo ha fatto conoscere in queste Terre. E chiediamole anche che continui ad accompagnare
e proteggere i suoi cari figli messicani e latinoamericani, affinché Cristo regni
nelle loro vite e li aiuti a promuovere con coraggio la pace, la concordia, la giustizia
e la solidarietà. Amen.