I messicani emigrati negli Usa seguono con speranza il viaggio di Benedetto XVI nella
loro patria
La visita del Papa in Messico è seguita con emozione anche dai tanti messicani che
si trovano negli Stati Uniti dove, attraverso il sacrificio dell'emigrazione, sono
riusciti a trovare una dimensione lavorativa e sociale, ma con il cuore sempre rivolto
alla propria patria. Il nostro inviato a León, Giancarlo La Vella, ne ha parlato
con padre Jorge Ortiz-Garay, sacerdote messicano che opera nella diocesi americana
di Brooklyn e sta seguendo la visita del Papa:
D. – Cosa ci
si aspetta da questo viaggio del Papa?
R. – Ci si aspetta una parola di speranza,
una parola di consolazione, per un futuro in cui il Messico e tutti i messicani possano
essere uniti come erano prima, senza violenza, senza paura. Questo è quello che ci
si aspetta: la parola del Papa piena di speranza.
D. – Gli Stati Uniti rappresentano
un miraggio, un obiettivo per tanti messicani in cerca di lavoro in quella terra.
Come i messicani, che sono riusciti ad andare a lavorare negli Stati Uniti, ora vedono
la situazione in Messico?
R. – Con molta tristezza, perché quando lasciano
il Messico, il loro cuore rimane sempre lì, con la famiglia, mentre aspettano che
la situazione cambi. Il popolo messicano è sempre stato un popolo sofferente. La Madonna
di Guadalupe è molto importante per noi e abbiamo sempre nel cuore l'esortazione:
“Non abbiate paura: questa è tua madre”. Questa è anche la realtà del messicano negli
Stati Uniti, dove ci sono pure lì molti problemi, soprattutto di lavoro. Quello che
mi sembra, però, che unisca i messicani sono la patria, la religione e l’amore per
la Vergine di Guadalupe.
D. – Vivendo negli Stati Uniti c’è il rischio di un
affievolimento della proverbiale profondità di fede che hanno i messicani? Si affievolisce
la fede stando in un Paese come gli Stati Uniti?
R. – Il messicano che arriva
negli Stati Uniti rischia di perdere tre cose: la famiglia, le tradizioni e la fede.
Questo è adesso il nostro lavoro, come preti.
D. – Quindi, il vostro lavoro
è quello di rinsaldare nella fede i messicani che sono andati via dal loro Paese?
R.
– Sì, questo è il mio lavoro ed è un mandato del vescovo Di Marzio. Io sono l’unico
sacerdote messicano nella diocesi di Brooklyn-Queens. Quindi, il vescovo Di Marzio
mi dice sempre di andare e cercare i messicani. Quando i messicani arrivano negli
Stati Uniti si sentono molto soli...
D. – Comunque la parola “speranza” rimane
il leitmotiv di questo viaggio...
R. – Sempre. La speranza nella famiglia da
parte dei messicani negli Stati Uniti dà forza, dà coraggio; assieme alla speranza
che i figli mantengano la fede nella Chiesa cattolica e la speranza che questi figli
cambino la società americana, come hanno fatto gli italiani. Penso che ora sia il
tempo del messicano. (ap)