2012-03-23 15:33:02

Marino (Confcooperative) sulla riforma del lavoro: accettiamo sacrifici per senso di responsabilità


Per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la riforma del lavoro non porterà a una valanga licenziamenti facili. Intanto il segretario del Pdl Alfano chiede che il provvedimento sia varato entro l’estate, mentre il leader dl Pd Bersani ribadisce che sull’articolo 18 non accetta una soluzione unicamente di monetizzazione. Ma quale è l’opinione degli imprenditori, soprattutto di chi gestisce le piccole aziende, di fronte a questa riforma del lavoro? Alessandro Guarasci ha sentito il presidente di Confcooperative Luigi Marino RealAudioMP3

R. - La riforma è importante non soltanto perché ce lo chiede l’Europa, ma perché serve per aumentare la competitività e la capacità concorrenziale del “sistema-Italia” nei confronti dell’Europa e del mondo.

D. - Pensa che sull’articolo 18, soprattutto sui licenziamenti economici, si debba arrivare, in qualche modo, a qualche aggiustamento in Parlamento? Ci sono preoccupazioni che colpiscono i sindacati in modo abbastanza esteso…

R. - Credo che la riforma vada vista nel suo insieme. In essa ci sono tre temi: la flessibilità in entrata, gli ammortizzatori sociali e la flessibilità in uscita sull’articolo 18. Sui primi due gli oneri a carico delle imprese, da oggi fino al 2017, sono cospicui ed aumenteranno il costo del lavoro. Abbiamo accettato, come mondo imprenditoriale e cooperativo, questi sacrifici per un senso di responsabilità e per avere una maggiore flessibilità in uscita che fosse corretta e dove si evitassero gli abusi, ma che ci fosse comunque una flessibilità in uscita rispetto a regole antiquate. Probabilmente, invece, si avrà un testo un po’ pasticciato in cui, forse, proprio per cercare il consenso più ampio, si finirà per dare nuovamente alla magistratura del lavoro dei compiti che la magistratura ha svolto, in passato, in modo pessimo e con ritardo.

D. - Lei teme lo scatenarsi di conflitti sociali, le sembra possibile uno scenario di questo genere ad oggi?

R. - Mi auguro proprio di no. E’ vero che la paura dello spread è diminuita, ma il Paese deve sapere che è in recessione, cioè in forte crisi. E la crisi e la recessione si superano soprattutto mettendo davanti il senso di responsabilità, impegnandosi duramente, con sacrifici e con dedizione, per la causa comune. La causa comune è quella degli imprenditori che devono fare meglio il loro mestiere, come anche le cooperative, e quella dei sindacati che devono considerare il fatto che bisogna produrre ricchezza per poterla distribuire. Se però la ricchezza non è prodotta, non si distribuisce nulla e soprattutto non si creano posti di lavoro.

D. - Lei crede al fatto che, da questa riforma, possa arrivare anche maggior produttività ed il Paese possa quindi ripartire, oppure bisogna ancora rafforzare la cosiddetta “fase 2”?

R. - Questo è uno dei tasselli. Quando si deve rimettere in piedi un Paese, che vive una crisi come questa, lo si deve fare toccando diversi tasti. C’è anche il tasto del mercato del lavoro, ma penso che ci possa e debba essere quello di una maggiore robustezza delle nostre imprese. Le nostre imprese sono sottocapitalizzate, non ben dimensionate, non sono internazionalizzate bene ed hanno scarse capacità manageriali. Inoltre, hanno una qualità del lavoro non eccelsa ed una ridotta produttività. Non deve, quindi, lavorare soltanto il governo sul mercato del lavoro, ma devono lavorare anche le imprese al proprio interno, per rendersi più competitive nei confronti del mondo. (vv)








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