L'attesa del Papa a Cuba: "Fede forte e vocazioni grazie al lavoro delle parrocchie"
Anche la Chiesa cubana conta i giorni che la separano dall'arrivo di Benedetto XVI,
lunedì prossimo. Il Papa visiterà la comunità di Santiago di Cuba e de L'Avana e celebrerà
con loro in modo solenne il 400.mo anniversario del ritrovamento della statuetta della
Virgen de la Caridad del Cobre, Patrona dell'Isola caraibica. Sulla vita della Chiesa
a Cuba, Luca Collodi ha intervistato padre Ariel Suarez, vicerettore
seminario arcidiocesano San Carlos y San Ambrosio a L’Avana, tornato a formare sacerdoti
dopo 50 anni di assenza:
R. – Non è giusto
dire che il seminario sia tornato a formare sacerdoti: non è stata mai interrotta
la formazione sacerdotale in questi ultimi 50 anni della storia di Cuba. C’è stato
sempre il seminario a L’Avana e ci sono sempre stati i seminaristi. La novità consiste
nel fatto che abbiamo una nuova sede da novembre 2010. Il vecchio seminario è diventato
un centro culturale per la formazione dei laici e si trova al centro de L’Avana vecchia.
Nel gennaio del 1998, lo stesso Giovanni Paolo II aveva benedetto la prima pietra
della nuova sede del seminario e abbiamo ormai un posto meraviglioso, in mezzo alla
campagna, a 20 minuti dalla cattedrale in macchina, che fornisce condizioni qualitativamente
migliori per lo studio, per la preghiera, per la vita fraterna e per la pratica dello
sport.
D. – Come prosegue la formazione intellettuale e spirituale dei futuri
sacerdoti cubani?
R. – Il nostro seminario, a livello di formazione intellettuale,
si è visto particolarmente arricchito con il fatto che dal 2005 collaboriamo con la
facoltà di Teologia dell’Università Gregoriana di Roma. Come risultato di questo fruttuoso
rapporto, alcuni nostri studenti, dopo aver finito i loro studi a L’Avana, vanno a
Roma per la licenza e tornano dopo la laurea per insegnare in seminario, contribuendo
a migliorare la qualità dell’insegnamento ai seminaristi. Una cosa significativa che
posso aggiungere è che per la visita di Benedetto XVI stiamo approfondendo ogni lunedì
di Quaresima un testo del Santo Padre, rivolto ai seminaristi: sia la lettera che
ha indirizzato ai seminaristi del mondo intero nell’ottobre del 2010, che altri discorsi
ed omelie, come quella ai seminaristi di Friburgo, in Germania, e quello pronunciato
in occasione della Giornata mondiale della Gioventù di Madrid.
D. – Che tipo
di vocazioni nascono a Cuba?
R. – Le vocazioni sia maschili che femminili provengono
fondamentalmente dalle parrocchie. Dove c’è una parrocchia viva, allegra, dove si
respira entusiasmo, dove c’è una parrocchia centrata sul Signore, dove c’è vita di
preghiera, carità verso i bisognosi e missione, lì in genere nascono le vocazioni.
Dietro a tutto questo, c’è di solito la figura di un prete o di una suora. In questo
momento, abbiamo nel seminario sia giovani che dopo il liceo hanno deciso di seguire
il Signore nel sacerdozio, ma anche tanti laureati universitari che hanno scoperto
la chiamata dopo anni di studi e altri che provengono dal mondo del lavoro.
D.
– Nella realtà cubana, quanto conta la formazione umana dei sacerdoti ?
R.
– La ringrazio per questa domanda, perché forse ho dimenticato di dire in precedenza
che la maggioranza delle vocazioni a Cuba sono di giovani che non hanno dietro una
famiglia cristiana. Molti di loro hanno conosciuto Gesù e la Chiesa nell’adolescenza
o nei primi anni di gioventù, il che vuol dire che si sono convertiti da grandi. In
linea di massima, un convertito ha tutto l’ardore e l’entusiasmo di chi si apre al
Vangelo e lo scopre come un tesoro, ma contemporaneamente ha tutta la fragilità di
chi ha radici piccole e deve maturare con il passare del tempo. In questo senso, la
formazione umana è più che mai necessaria. Tentiamo di offrire ai seminaristi il contributo
psicologico imprescindibile per poter accettare la propria storia e verificare se
saranno in grado di vivere gli impegni tipici di un sacerdote, che includono ovviamente
il celibato, ma soprattutto la capacità di donarsi ai fratelli semplicemente, con
umiltà e povertà: così come vivono i preti a Cuba, senza grande riconoscimento sociale,
con poco rilievo riguardo ad altre forme di vita, con poche risorse.
D. – E'
così difficile fare il prete a Cuba?
R. – Devo dire che la parrocchia, in questi
ultimi 50 anni, è stata veramente il cuore della vita ecclesiale cubana. Pensate che
la nostra Chiesa non ha scuole, università, accesso ai mass media. Nonostante ciò,
con fatica e sofferenza, si è inserita in nuovi ambiti. Una parrocchia in città non
è uguale ad una parrocchia in campagna, e una parrocchia gestita da religiosi o da
un prete diocesano non sono uguali. C’è sempre una grande varietà e una grande ricchezza.
Troviamo un’incredibile creatività: la mensa parrocchiale per i poveri, le ripetizioni
ai ragazzi che devono fare l’esame per l’ingresso all’università, corsi di lingue
e di informatica, progetti per autistici o bambini con sindrome di down e così via.
Riguardo alla missione vorrei dire che in tanti posti dell’isola, soprattutto in campagna,
dove non c’è la struttura della Chiesa, lì si è creata da più di 20 anni un’esperienza
che noi chiamiamo “la casa di missione”: un laico apre le porte, i locali della sua
casa, per la preghiera, la catechesi, la lettura e la meditazione della Bibbia. Il
parroco più vicino celebra ogni tanto i sacramenti, ma abitualmente sono i laici,
o alcune suore, i responsabili del lavoro nella casa di missione.
D. – Padre
Suarez, questo significa che mancano i preti?
R. – Il lavoro del parroco è
troppo grande, troppo faticoso. Siamo il Paese dell’America Latina con meno sacerdoti
per abitanti e questo vuol dire che un sacerdote a Cuba può essere contemporaneamente
parroco di tre, quattro, sei o sette comunità. In zone di campagna, questo significa
anche percorrere tanti chilometri di strada, per la lontananza. Tenere tutti questi
movimenti, gruppi, in ogni comunità, è una grande fatica, che si fa ovviamente in
collaborazione con i laici, con le suore, con questa esperienza di famiglia che noi
abbiamo tanto a cuore, perché è stata l’esperienza vissuta dalla nostra Chiesa in
tutti questi anni.
D. – Che sfide attendono la Chiesa cubana, alla vigilia
dell’anno dedicato alla fede?
R. – L’evangelizzazione sarà la priorità della
Chiesa di Cuba, perché il pellegrinaggio fatto con la statua della Madonna della Carità
ci ha dimostrato che il popolo cubano è religioso, ama la Madonna e vuole pregare
e incontrare Dio. Nel nostro popolo c’è una grande ignoranza a livello di fede e tanti
nostri atteggiamenti e comportamenti, come popolo, non hanno il volto della fede.
Voglio sottolineare che l’evangelizzazione significherà uscire dalle chiese e andare
a cercare la gente. Dobbiamo convertirci a questa nuova presenza: bisogna andare incontro
alla gente. Il Papa lo fa con i suoi 84 anni e ci ha parlato anche del Cortile dei
Gentili. Trovo che sia un dono della Provvidenza l’Anno della Fede a cui ci ha convocato,
e siccome vuole iniziarlo con un Sinodo dei vescovi che rifletterà sulla nuova evangelizzazione,
ho la speranza, e la sento come un appello di Dio a tutta la Chiesa, che si intraprenda
una nuova evangelizzazione. (ap)