Violenze in Siria, la Russia prende le distanze: "Commessi errori gravissimi"
Un numero imprecisato di persone, tra militari e civili, avrebbe perso la vita a causa
di un attentato nella provincia di Deraa, nella Siria meridionale. Cannoneggiamenti
si segnalano anche a Damasco, mentre l'esercito ha bombardato la cittadella medievale
di Qalaat al-Madiq, nei pressi di Hama. Una crisi, insomma, che coinvolge tutto il
Paese e che continua a occupare la prima voce nell’agenda delle diplomazie internazionali.
Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha auspicato un ritorno in Siria dell'inviato
delle Nazioni Unite e della Lega Araba, Kofi Annan: missione sostenuta anche da Egitto
e Cina. La Russia, da parte sua, ha ammesso per la prima volta che il regime di Bashar
Al Assad ha commesso e continua a commettere "un mucchio di errori gravissimi", secondo
il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov. Un rapporto, quello tra Mosca e Damasco,
più che solido, ma che ora inizia ad incrinarsi. Salvatore Sabatino ne ha parlato
con il prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni Internazionali presso l’Università
di Torino:
R. – Se il
ministro Lavrov davvero ha parlato di errori, dovrebbe correggere il suo linguaggio,
perché per quanto riguarda Assad non si tratta di errori, ma di comportamenti politici
inaccettabili. La storia dei rapporti tra questi due Paesi è molto lunga e nasce dalla
Russia comunista. Dovrebbe addirittura farci chiedere se ci sia continuità tra la
Russia di una volta e quella di oggi. Che fossero alleati una volta non significa
che lo debbano essere oggi. Quando un Paese si comporta in quel modo, se ne dovrebbero
trarre le conseguenze.
D. – Un rapporto, come diceva lei, strettissimo. Sono
solo questioni economiche o c’è qualcosa di più sotto?
R. – No, ci sono le
questioni economiche, c’è la tradizione, c’è il riflesso condizionato di Putin, che
se l’Occidente è da una parte, lui tendenzialmente si dissocia. Tutto questo, però,
va commisurato alla gravità degli eventi e qui siamo di fronte a eventi gravissimi:
nel fare, come ha fatto Putin, fino a ieri – e finalmente adesso comincia ad allontanarsi
da quella posizione – dobbiamo aspettarci che lo faccia ancora la Cina, perché non
si può tollerare l’intollerabile.
D. – La Russia in questi mesi ha giocato
il ruolo di attore scomodo, rallentando le possibili azioni della comunità internazionale
contro la Siria. Cosa ha avuto in cambio?
R. – Più che avere in cambio qualcosa,
Putin dovrebbe ricevere da noi una grande mobilitazione di opinione pubblica. Se oggi
Putin tende a modificare la sua posizione è perché il mondo occidentale sta levando
la voce. Ora, noi dovremmo imparare tutti – e questo lo dico anche per noi – a far
muovere l’opinione pubblica: dobbiamo discutere, dobbiamo parlarne, come fate giustamente
voi adesso. Dobbiamo far vedere che l’opinione pubblica del mondo disapprova certi
comportamenti. Se vogliamo che la democrazia avanzi nel mondo e nella storia, dobbiamo
imparare a discutere, a far discutere, anche criticare senza sparare.
D. –
Secondo lei, Mosca può aver paura che le proteste siriane possano contagiare anche
la Russia, in un momento di grande insoddisfazione su come viene gestito il potere
nel Paese?
R. – Certo, per tutti coloro il cui potere si regge non sul consenso,
la paura è quella di vedere che l’incendio appiccato nella casa del vicino possa propagarsi
alla propria. E’ chiaro che la vita nel mondo è fatta così. Gli Stati vicini sono
un esempio e/o una preoccupazione. Anche per questo dovremmo tutti occuparci maggiormente
di questa dimensione della realtà, cioè della politica internazionale: è la nostra
vita di tutti i giorni.
D. – Se il regime siriano cadesse, la Russia dovrebbe
cambiare le sue strategie nell’area. Come?
R. – Se cade in modo traumatico,
violento o violentissimo, come è stato ad esempio in Libia, nessuno sa come muoversi
poi dopo, perché la Siria è un Paese più popoloso, con una tradizione ben diversa
da quella libica. Quindi, sarebbe un dramma molto difficile da gestire per chiunque,
Russia compresa. Se invece Assad se ne andasse, allora la Russia potrebbe a quel punto
dire: “Beh, è stato proprio merito nostro”. Quindi, potrebbe esserci un vantaggio
politico, diplomatico per la Russia, in quel caso. (ap)