La Giornata mondiale della poesia. Intervista con Roberto Mussapi
L’inizio della primavera segna ogni anno le celebrazioni per la Giornata Mondiale
della poesia, istituita dall’Unesco nel 1999 allo scopo di riconoscere all’espressione
poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali.
Per una riflessione sul valore che oggi viene attribuito a questa antica forma d’arte,
Antonella Palermo ha intervistato Roberto Mussapi, poeta, drammaturgo
ed editorialista del quotidiano Avvenire:
R. - La poesia
è come la medicina: serve a star bene, a vivere: non a diventare immortali, perché
non è un elisir venduto da una fattucchiera, ma serve ad affrontare la vita in modo
appropriato e a credere nella vita. La poesia è a metà tra la religione e la medicina:
non è un optional, ma è qualcosa di antropologicamente necessario, anche se non promette
miracoli.
D. – La lettura di certa poesia è inibita – a detta di molti – perché
considerata troppo difficile e quindi distante …
R. – Non dobbiamo rifiutare
ciò che non comprendiamo, però la poesia deve anche – ed è un dovere del poeta – mirare
ad essere comprensibile, che è una cosa di per sé difficile. Mirare a essere comprensibile
non vuol dire essere un sostituto della canzonetta, ma deve avere l’intenzione di
andare incontro al lettore, pretendendo che il lettore abbia intenzione di andare
incontro alla poesia. Ad esempio, se la poesia fosse recitata e non letta – come potrebbe
avvenire in televisione – ne arriverebbe una parte, se si tratta di vera poesia, cioè
un qualcosa di subliminare, di emotivo. Ma il resto, ovvero ciò che è più profondo,
non verrebbe compreso.
D. – Pare che moltissime persone, pur lontane dalla
frequentazione della poesia, prima o poi si mettano a scrivere versi, spesso lasciati
nel cassetto. Ma cosa ci vuole per diventare poeti?
R. – E’ sbagliata, per
esempio, l’ambizione dei 40 milioni di italiani, che non hanno mai letto neanche Montale,
e che scrivono poesie. E' sbagliata l’ambizione di considerarsi poeti, questo atteggiamento
di superbia. Invece, che qualunque persona abbia il diritto di scrivere e di esprimere
i versi o i propri sentimenti come meglio crede, è un fatto di alta civiltà. E’ molto
positivo che tutti scrivano la sera dei versi o delle prose in cui si confessano,
perché vuol dire hanno un rapporto con la scrittura e cioè con la propria anima.
D.
– Soddisfatto dell’insegnamento della poesia a scuola?
R. – Non ho esperienza.
Quello che posso capire, da ciò che vedo, è che l’insegnamento non è facilitato dai
libri di testo e che invade una specie di necrofilia dello strutturalismo, che esiste
ancora. Si scelgono dei temi, per cui tu ti trovi l’etica – un pezzo dell’Iliade –
accanto alla canzone di un cantautore, perché affronta lo stesso argomento. Ho la
sensazione che si tenda a fare confusione. (cp)