Lateranense. La Lumen Gentium al centro della conferenza "Rileggere il Concilio"
Si è tenuto ieri, presso la pontificia Università Lateranense, il secondo appuntamento
del ciclo di conferenze “Rileggere il Concilio”, organizzato nel 50.mo anniversario
del Concilio Vaticano II. Oggetto del convegno è stata la costituzione conciliare
“Lumen Gentium”. Nell’intervista di Davide Maggiore, padre Bernard Ardura,
presidente del Pontificio Collegio di Scienze Storiche, ne ricorda i punti più significativi,
a partire dall’immagine della Chiesa tracciata nel documento:
R. – La prima
immagine che viene proposta dalla “Lumen Gentium” è quella del Popolo di Dio, che
ha una struttura gerarchica perché il Signore Gesù ha voluto, attorno a sé, i 12 Apostoli
ed i vescovi sono i loro successori. Naturalmente ci sono altre immagini: quella che
venne sviluppata da Pio XII, ossia il Corpo mistico di Cristo, ed ogni cristiano è
una delle membra. La Chiesa, poi, è anche in cammino verso il suo compimento, alla
fine dei tempi. E’ l’aspetto della nuova Gerusalemme.
D. – In che misura quest’immagine
della Chiesa rappresenta una novità e in che misura, invece, è in continuità con la
tradizione della Chiesa?
R. – E’ una novità nel senso che la Chiesa non si
era mai presentata, sistematicamente, come un popolo organizzato. Si era piuttosto
insistito sulla sua struttura giuridica. D’altra parte, la continuità è ovvia: non
si è membro del popolo unicamente per nascita ma lo si diventa per scelta, attraverso
il Sacramento del Battesimo.
D. – Questa sottolineatura della nozione di “Popolo
di Dio”, chiama inoltre i laici ad una nuova responsabilità…
R. – Questo è
un elemento essenziale della “Lumen Gentium”: la vocazione universale alla Santità.
Sono destinati alla Santità tutti i battezzati. La cosa importante è rispondere a
questa vocazione universale. (vv)
E ad approfondire l’elemento della vocazione
universale alla santità, ancora al microfono di Davide Maggiore, è don Giovanni
Tangorra, docente di Ecclesiologia presso l’Università Lateranense:
R. – La santità,
com’è stata esaminata nel Concilio, è ancora molto attuale. Il Concilio l’ha espropriata
da una concezione di tipo straordinario rendendola possibile, anzi: l’ha resa quasi
doverosa e l’ha inscritta nel dna stesso del Battesimo. Quello che è importante è
capire cosa si intende per santità e, per il Concilio in maniera particolare, è importante
saper vivere il precetto dell’amore di Gesù Cristo. Vissuta attraverso la carità,
la santità diventa certamente una sfida contemporanea molto importante.
D.
– Dal punto di vista della ricezione, quali possono essere considerati, oggi, i frutti
concreti della “Lumen Gentium” e dell’ecclesiologia che delinea?
R. – La ricezione
è certamente uno dei problemi principali di un Concilio. E’ quell’atto con cui il
Popolo di Dio, in qualche modo, fa suo ciò che in un Concilio viene discusso e approvato,
ed è ciò che rende vive le decisioni prese. Sul piano pratico potrei dire che la ricezione
da parte del Popolo di Dio – quindi non solo di alcune categorie di professionisti
– è molto viva, almeno a due livelli. Prima di tutto perché si nota, nel Popolo di
Dio, una maggior presa di coscienza della Chiesa, che non viene più vista come un
qualcosa di estraneo o di formale, ma come un qualcosa cui si appartiene e di cui
si è parte. Inoltre c’è anche un’estensione della corresponsabilità all’interno della
Chiesa che, non si può negare, dopo il Concilio ha certamente prodotto molti frutti.
(vv)