Israele: messaggio di pace della comunità cattolica ebreofona di Beer Sheeba
Sono giorni di ansia e paura per la piccola comunità cattolica di espressione ebraica
di Beer Sheeba, capitale del Negev, a sud di Israele, che sta vivendo gli attacchi
con missili grad da parte di miliziani della Jihad islamica della Striscia di Gaza.
L’ultimo lancio risale alla serata di mercoledì, con Israele che ha risposto con due
raid aerei contro Gaza e Khan Yunis. Una tornata di violenza che ha provocato fino
ad oggi 26 vittime palestinesi tra le quali un ragazzo di 15 anni ed un bambino di
7. Una situazione di pericolo che ha indotto domenica scorsa don Gioele Salvaterra,
fidei donum della diocesi di Bolzano-Bressanone, da due anni e mezzo in Israele, dove
guida la kehilla di Beer Sheeba, a celebrare la messa nel rifugio della casa della
comunità. “Questa scelta – ha raccontato il sacerdote all'agenzia Sir - è stata dovuta
alla necessità di sentirsi più tranquilli, dopo che due ore prima della messa, un
missile è caduto non lontano dalla nostra casa. Abbiamo voluto incontrarci ugualmente
nel rifugio e i fedeli, sono circa 40 quelli che vengono la domenica, hanno accettato
questa scelta”. “C’è paura e ansia ma non perdiamo la speranza della pace – ha proseguito
don Gioele - . Desideriamo la pace e la giustizia, non vogliamo la vittoria di una
o dell’altra parte. In questo conflitto non ci sono vincitori ma solo sconfitti. La
nostra comunità – ha aggiunto - sta vivendo questi giorni con ansia certamente ma
anche con la speranza che presto tutto finisca e che, israeliani e palestinesi, si
possa tornare a vivere senza paura”. A soffrire sono soprattutto i bambini, spiega
don Salvaterra: “I bambini sanno quello che sta accadendo, lo apprendono dai genitori,
dagli amici. Ciò che cerchiamo di fare è farli sentire protetti, ascoltare le loro
paure. Spesso vengono qui per la messa e sentono il bisogno di raccontare ciò che
è successo, cose come le corse a notte fonda nei rifugi, dopo l’allarme”. Dalla comunità
cattolica ebreofona di Beer Sheeba filtrano anche diverse testimonianze come quella
della piccola Salma: “la situazione non è normale. Gli abitanti non sono abituati
alla frequenza del suono delle sirene come in questi giorni. Le scuole sono rimaste
chiuse e noi bambini siamo in qualche modo felici per questo ma i nostri genitori
soffrono ed hanno paura per noi. Noi continuiamo a pregare”. Quella preghiera che
ispira apertura ed accoglienza come spiega ancora il sacerdote: “Il messaggio che
le nostre comunità cattoliche di espressione ebraica possono veicolare nella situazione
che viviamo è quello di apertura all’altro, israeliano e palestinese. Abbiamo bisogno
di apertura e di accoglienza e per questo - conclude don Gioele - leviamo le nostre
voci per la pace e la calma nel Sud e per tutti coloro che soffrono”. (M.G.)