Modifica del cognome: una minaccia per persona e famiglia?
La modifica, aggiunta e variazione del cognome tornano a far discutere in Italia.
Social network, siti internet e blog promuovono, si scontrano e rilanciano la notizia
battuta dalle agenzie qualche giorno fa, relativa all’intervento del Consiglio dei
Ministri (CdM) che ha introdotto (il 24 febbraio scorso), delle modifiche in materia,
ora prossime alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
In sostanza secondo
il CdM il provvedimento, che elegge il Prefetto “unica autorità decisionale”
in materia, porterà “risparmi consistenti in termini di tempo (per i cittadini)” e
“incrementi di efficienza (per l’amministrazione)”. Prima, infatti, le domande venivano
presentate alle Prefetture ma spettava al Ministero dell’Interno la decisione finale.
A
creare scompiglio, incertezza e speranze la pubblicazione sul sito internet del Consiglio
dei Ministri (www.governo.it) che “i cambiamenti riguardano in particolare il cambio
di cognome” e che "tra le tipologie previste quelle più ricorrenti sono":
1.
Chiunque potrà chiedere di aggiungere il cognome materno a quello paterno. Il numero
di questo tipo di domande è in costante aumento (oltre 400 all’anno).
2.
Le donne divorziate o vedove potranno aggiungere il cognome del nuovo marito ai propri
figli. 3. Infine, per coloro che hanno ricevuto la cittadinanza italiana
sarà possibile mantenere il cognome con il quale erano identificati all’estero”.
"Queste
sono solo tre fattispecie, su una casistica molto più ampia", precisano dal Ministero
dell’Interno (una delle parti proponenti insieme al Presidente del Consiglio e i Ministri
della pubblica amministrazione e semplificazione, e della giustizia). Il Prefetto
Giovanna Menghini, Direttore Centrale per i Servizi demografici del Dipartimenti
degli Affari Interni e Territoriali del ministero dell’Interno:
Le modifiche
in sostanza “Riguardano la competenza ad autorizzare i cambiamenti del cognome che
passa dal Ministro dell’interno al Prefetto e ciò al fine di unificare i procedimenti
di cambiamento di nome e di cognome e di individuare nel prefetto l’unica autorità
decisionale in materia. Tra l’altro, il Prefetto è competente di suo, già prima, a
cambiare il nome e anche il cognome: ridicolo, vergognoso, rilevante le origini naturali
e per tutta l’istruttoria dei casi che venivano poi decisi dal ministro. Quindi, il
Prefetto è già un’autorità in questa materia, ha già una sua competenza, dovrà solo
fare il provvedimento finale”.
Dunque nessun ampliamento di casistica in materia,
eppure sono aumentate in questi giorni le richieste d'informazioni alle prefetture
su come sarà la nuova normativa, che modifica il DPR del 3 novembre 2000, n. 396 e
che entrerà in vigore 60 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Di
china pericolosa che nasconde un “principio totalitario” e “l’illusione
di poter disporre della propria identità” parla il prof. Paolo Savarese
Ordinario di Filosofia del diritto all’Università di Teramo, il quale riflette sull'importanza
del congnome:
R. – Il cognome è importante perché è un veicolo di identificazione
basilare dell’identità personale e della consapevolezza che ha ciascuno di sé in relazione
alla società oggi e alla società che è venuta prima: cioè, la storia. E’ un problema
di radici, di radici forti, per personalità che sono chiamate ad essere personalità
solide ed equilibrate e socialmente aperte, disponibili.
D. – Che vuol dire,
allora, incidere sul cognome?
R. – La questione del cognome sottintende il
grande problema filosofico-politico e filosofico-giuridico della rappresentanza, che
sta alla base della democrazia, dello Stato di diritto e di ogni modo di organizzare
in maniera giusta, equilibrata la società. Se noi andiamo a toccare un elemento basilare
della rappresentanza – anche se il discorso sarebbe lungo: non è facile chiarirlo
in due parole – noi andiamo ad alterare il modo in cui l’uomo sta di fronte alla società.
Che cosa succede? Che da una parte abbiamo un individuo che pensa di potersi dare
il nome da solo e di non riceverlo da altri: quindi non sarà capace di donare, di
riconoscere. Dall’altro consegniamo un nudo allo Stato, e questo è un principio totalitario.
D.
– Alcuni ribadiscono: ma che male c’è a poter aggiungere il cognome di una madre,
oppure di poter aggiungere il cognome di un nuovo marito, dato che c’è un matrimonio
nuovo, rispetto ad un matrimonio precedente, e poi magari il figlio cambierà a sua
volta il cognome se questo non gli starà bene, una volta adulto, maggiorenne?
R.
– Sono fattispecie diverse, e ognuna meriterebbe un commento. In alcuni di questi
casi, l’aggiunta del nome del nuovo marito viola i diritti del padre e il diritto
del figlio alla sua identificazione; consegna la identità personale, che appunto è
veicolata anche – non solo, ma anche – dal cognome, la consegna alla scelta sempre
modificabile di un’altra persona. Magari, al conflitto tra il padre e la madre che
hanno divorziato.
D. – Si ribadisce che le richieste per la modifica del cognome
sono in aumento. Il Consiglio dei ministri stesso ne cita 400, ribadisce questo come
dato significativo…
R. – Se sono 400 domande, in media sono quattro domande
a prefettura: si commenta da solo.
D. – Il fatto che adesso sia il prefetto
a dover non più redigere un parere, ma a decidere su una domanda, pone dei problemi?
R.
– Questa è una questione di tale delicatezza che va comunque sottoposta prima ad una
riserva di legge, secondo all’autorità della magistratura. Attribuire la competenza
ad un’articolazione del governo, sia pure sul territorio, significa indebolire le
garanzie del cittadino e non solo del cittadino: della convivenza civile, perché cambiare
i cognomi significa introdurre nella convivenza civile una quantità di problemi enormi.
E’ una forma di privatizzazione del cognome: il cognome diventa una questione di mercato.
Ce l’abbiamo tanto con il libero mercato: è il libero mercato delle identità e della
loro identificazione.
D. – Il provvedimento fa riferimento ad una normativa
già esistente, che di fatto recita: “Chiunque ne abbia interesse può fare opposizione”:
R.
– La debolezza di quella formulazione è che non individua tassativamente gli aventi
diritto ad opporsi: innanzitutto, il padre. Ma non solo il padre, perché vi sono anche
tante situazioni di tipo commerciale e civile che vengono chiamate in causa.
D.
– La persona, in questo modo, perde profondamente la propria identità?
R. –
In questa maniera si da l’illusione alle donne e alle persone, più in generale, di
poter disporre della propria identità; in realtà, si espone la loro identità all’arbitrio
di individui e la si sottopone alla disciplina dello Stato. Siccome l’identità dell’uomo
non deriva dallo Stato, questo è un principio totalitario: basta saperlo leggere.
(gf)
Semplificazione e velocizzazione dunque si incontrano e scontrano anche
con tematiche e realtà più complesse anche se si parla di “competenza in atto amministrativo”
Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni Familiari:
R. - Questa idea della semplificazione - apparentemente burocratica - dentro
le relazioni familiari, rischia di buttare via anche valori importanti come la storia
familiare. In alcuni casi ci vorrebbe più custodia degli aspetti relazionali,
della qualità dell'ambito familiare, che qui sembrano trattati semplicemente come
delle sovrastrutture burocratiche e formali. Insomma: il cognome, l’appartenenza ad
una identità familiare, è un aspetto molto importante, ma sembra in un certo senso
che non conti più niente.
D. - In queste righe del Consiglio dei Ministri presentate
come semplificazione c'è chi intravede un altro cuneo che va a destrutturare la famiglia...
R.
– Sì. Alcune operazioni apparentemente leggere - tra l’altro riguardano platee che
dovrebbero essere abbastanza limitate nel tempo, come la questione del cambio del
cognome - sono sempre state così. Sono risultate marginali proprio perché l’idea era:
il cognome fa parte di un’identità sociale, un modo di essere cittadini del Paese.
Dire che i cognomi in fondo appartengono a quella scelta di orientamento, di variabilità
che ogni persona va a scegliere – uno, due, tre cognomi – dà l’idea di un indebolimento
del valore-famiglia.
D. – Divorzi, separazioni, famiglie ricombinate: comunque
lo specchio della famiglia è diverso rispetto a qualche anno fa ...
R. – Le
situazioni che possono essere intercettate da queste clausole sono probabilmente più
presenti oggi di quanto non fossero trent’anni fa. Resta che molto spesso interventi
apparentemente o esclusivamente tecnici hanno un impatto negativo sulla promozione
della famiglia, che ci preoccupano molto.
Da più parti di sottolinea che questo
provvedimento infondo rilancia un’idea di "famiglia sociale" e dimentica l’origine
della persona e della sua identità. Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale
dello Stato della Città del Vaticano e Rettore della Libera Università Maria Santissima
Assunta di Roma:
R. - Non c’è dubbio che questa estrema liberalizzazione
costituisca un attentato alla nozione di famiglia. La nozione di famiglia è la
nozione che fa riferimento ad un gruppo sociale organizzato, all’interno del quale
c’è la trasmissione della vita, e che porta i segni della continuità. E’ evidente
che in questo modo, noi diamo un colpo a questa realtà, inquinando e, al limite, lasciando
cadere ogni traccia nel giro di una o due generazioni con il rapporto generazionale.