Il Parlamento Europeo apre alle unioni omosessuali: il commento del prof. Giacobbe
In una risoluzione approvata ieri dal Parlamento Europeo emergono passaggi che intendono
promuovere il riconoscimento delle coppie omosessuali attraverso il superamento della
definizione di famiglia quale unione tra uomo e donna. Il testo, votato da 361 sì,
268 no e 70 astenuti, è intitolato “Risoluzione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione
Europea” ma ci sono almeno due passaggi che vanno oltre. Si legge che è inammissibile
che alcuni governi “mettano in atto definizioni restrittive della definizione di 'famiglia'
allo scopo di negare la protezione legale alle coppie dello stesso sesso e ai loro
bambini”. C’è il paragrafo 5 che chiede alla Commissione di elaborare proposte per
il “mutuo riconoscimento” delle famiglie omosessuali tra i Paesi che già le prevedono
e il paragrafo 62 che propone al Consiglio di riaffermare il principio di non discriminazione
“per orientamento sessuale”. Il testo è stato promosso dalla radicale di sinistra
olandese Sophie in't Veld. L’emendamento presentato dal Partito popolare europeo per
ribadire la competenza degli Stati membri in materia non è passato. Per capire le
implicazioni e i significati del pronunciamento, Fausta Speranza ha intervistato
il prof. Giovanni Giacobbe, giurista, già presidente del Forum delle Associazioni
familiari:
R. - Mi pare
di poter sostenere che il Parlamento Europeo non ha competenza in materia di famiglia.
Quindi, secondo me, questa risoluzione resta un mero atto politico di espressione
di un indirizzo, che però non vincola i governi che fanno parte dell’Unione Europea.
Tra l’altro, va premesso che bisognerebbe avere il testo di questa risoluzione per
vedere com’è articolata precisamente. Sembrerebbe che vorrebbero vincolare i governi
degli Stati Europei a dare un riconoscimento al matrimonio tra omosessuali.
D.
– Diciamo questo: il Parlamento invita la Commissione e gli Stati membri ad elaborare
proposte per il riconoscimento reciproco delle unioni civili …
R. – Quindi
siamo nell’ambito di una risoluzione che non ha un’efficacia diretta...
D.
– Però, come orientamento, come indicazione, come primo passo sul piano giuridico,
che importanza ha questa risoluzione?
R. – Secondo me, ha un’importanza certamente
dal punto di vista politico, perché esprime un indirizzo del Parlamento Europeo. Ma
dal punto di vista degli effetti vincolanti, non produce nessun effetto vincolante
per il nostro Paese, come per gli altri Paesi europei.
D. – Si dice che bisogna
evitare la discriminazione nei confronti degli omosessuali e si devono riconoscere
le unioni civili …
R. – Sono due concetti totalmente diversi. Che si debba
evitare ogni discriminazione nei confronti degli omosessuali è un principio pacifico,
che è previsto dalla nostra Costituzione che stabilisce che non si possono discriminare
le persone, tantomeno per le loro attitudini sessuali. Che la non-discriminazione
implichi il riconoscimento del matrimonio, però, è un salto logico che non può essere
condiviso.
D. – Ci aiuti anche a riflettere su questa espressione che si legge
nella risoluzione del Parlamento Europeo: “ci si rammarica dell’adozione da parte
di alcuni Stati membri di definizioni restrittive di famiglia”. Sul piano giuridico
che significa?
R. – Sul piano giuridico significa che, secondo questa risoluzione,
si dovrebbe adottare un concetto di famiglia che comprenda anche le unioni tra omosessuali.
Ora, tra l’altro, ci sono anche dei pronunciamenti della Corte Europea che hanno detto
che una cosa è la famiglia, una cosa sono i rapporti tra omosessuali, o comunque le
unioni cosiddette “di fatto”. Ma poi, per quanto riguarda l’Italia, noi abbiamo un
vincolo costituzionale - l’art. 29 comma 1° della Costituzione - il quale stabilisce
che la Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Ora, il concetto di “società naturale” ed il concetto di “matrimonio” - per una tradizione
millenaria che risale al Diritto Romano - implicano che la famiglia presuppone l’unione
tra un uomo ed una donna. Su questo, secondo me, non c’è possibilità di discutere
nell’ambito dell’ordinamento italiano. (cp)