Amnesty: in Siria “torture sistematiche contro gli oppositori”
Mette i brividi e indigna il rapporto diAmnesty International che documenta
i metodi di tortura praticati dalle forze di sicurezza siriane alle vittime degli
arresti di massa nel corso della rivolta contro il governo di Assad. Il documento,
intitolato “Volevo morire: parlano i sopravvissuti alla tortura in Siria”, riferisce
di interrogatori e pestaggi con bastoni, calci dei fucili e fruste, torture con scariche
elettriche e tenaglie, abusi sessuali. Torture sistematiche, raccontate dai testimoni
e dalle vittime incontrate dall’Organizzazione per i diritti umani in Giordania nel
febbraio scorso, che hanno raggiunto, per Ann Harrison, vicedirettrice ad interim
del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty, “un livello che non si vedeva
da anni e che ricorda il periodo nero degli anni ‘70 e ‘80”. “L’obiettivo di questo
sistema di interrogatori – afferma Harrison - è degradare, umiliare e mettere a tacere
col terrore le vittime”. Le torture, secondo il rapporto di cui riferisce l'agenzia
Sir, seguono in genere un modello stabilito. Molte vittime hanno dichiarato di “essere
state picchiate al momento dell’arresto. Il pestaggio è proseguito con l’haflet al-istiqbal
(festa di benvenuto), all’arrivo nel centro di detenzione, con percosse con bastoni,
calci dei fucili, fruste e cavi di corda. I nuovi arrivati vengono solitamente lasciati
in mutande e talvolta tenuti all’aperto anche per 24 ore”. Il momento di maggior pericolo
è tuttavia quello dell’interrogatorio. Parecchi sopravvissuti alla tortura hanno descritto
ad Amnesty International “la tecnica del dulab (pneumatico): il detenuto è infilato
dentro a un pneumatico da camion, spesso sospeso da terra, e picchiato, anche con
cavi e bastoni”. “Ampio” anche l’uso delle scariche elettriche, con “elettrodi e pungoli
elettrici applicati alle parti del corpo” e di abusi sessuali. Per Amnesty International,
le testimonianze dei sopravvissuti alla tortura costituiscono “un’ulteriore prova
dei crimini contro l’umanità commessi in Siria”. Da tempo Amnesty chiede che la situazione
della Siria venga deferita al procuratore della Corte Penale Internazionale ed esorta
il Consiglio Onu dei diritti umani di prorogare il mandato della Commissione d’inchiesta
sulla Siria. L’Organizzazione auspica, inoltre, che “la comunità internazionale voglia
condividere la responsabilità di indagare e punire crimini contro l’umanità nei tribunali
nazionali, attraverso processi equi e senza il ricorso alla pena di morte”. (M.G.)