Afghanistan: attaccata delegazione governativa che indaga sulla strage di Kandahar
Tensione altissima in Afghanistan dopo la strage a Kandahar. Un soldato afghano è
stato ucciso e un poliziotto è rimasto ferito in un attacco contro la delegazione
governativa durante la visita al luogo dove, domenica scorsa, 16 civili sono stati
trucidati da un soldato americano. I talebani hanno minacciato rappresaglia, mentre
un centinaio di leader tribali e cittadini del distretto di Panjwaj, luogo in cui
è avvenuto il massacro, parlano di una vendetta dei militari americani e non di un
raptus di un soldato. Intanto, sul fronte internazionale la Cina si dice “scioccata”
per l’accaduto, più della metà dei britannici pensa che le proprie truppe vadano immediatamente
ritirate dal Paese, e il presidente Usa Obama ha assicurato che non ci sarà nessuna
corsa al ritiro dei contingenti, anche se si dice determinato ad assicurare il ritorno
a casa dei soldati in un quadro “graduale e responsabile”. Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento di Alessandro Politi, analista di strategia militare:
R. – Purtroppo
la ricaduta peggiore è che dal punto di vista politico e del consenso della popolazione
locale, si è persa la guerra. Si sperava di comporre un ritiro basato su uno stallo
tra le forze governative di Kabul e quelle dei talebani – uno stallo anche dagli esiti
incerti, che potevano essere tanto positivi quanto negativi – ma adesso dobbiamo prepararci
a gestire una sconfitta. Perché ormai la popolazione locale, per dirla in modo molto
diplomatico, è estremamente diffidente nei confronti dei contingenti della Nato.
D.
– Continuano le manifestazioni nel Paese contro gli stranieri; attaccata anche la
delegazione del governo afghano, incaricata di far luce sul massacro di domenica …
R.
– E’ una situazione che sulla superficie si può continuare a gestire, finché restano
i contingenti, ma che ormai è estremamente difficile da recuperare.
D. – Oltre
il 50 per cento dei britannici pensa che sia necessario ritirare le proprie truppe
dal Paese. Il presidente Usa Obama ribadisce che non ci sarà nessuna corsa per ritirare
i soldati, ma si dice determinato ad assicurare un ritorno a casa dei militari …
R.
– Gli inglesi avevano già ragione nel 2004, quando scongiurarono gli americani di
fare presto delle elezioni in Iraq; non furono ascoltati e gli americani "persero"
la guerra. E’ giusto pensare ad un ritiro accelerato, più di quanto non avessimo previsto,
desiderato e voluto.
D. – Secondo lei, la posizione degli Stati Uniti nei confronti
del teatro afghano, in un certo modo risente anche del consenso di Obama all’interno
degli Stati Uniti in vista delle presidenziali?
R. – Credo che Obama non sia
un politico che si faccia influenzare dai sondaggi delle primarie repubblicane, o
anche dai sondaggi di opinione in genere. Però è chiaro che c’è un problema su quanto
sia importante il risultato in Afghanistan e su come questo si combini con gli esiti
economici in quel Paese. Agli americani interessa soprattutto recuperare lavoro, economia
e prosperità. E’ chiaro che passare non alla storia, ma alle elezioni come il curatore
fallimentare di due guerre iniziate da George W. Bush, non è esattamente un biglietto
da visita brillante per Obama. Credo quindi che ci siano delle considerazioni di questo
tipo, ma non credo che a condizionare sia un generale sentimento nell’opinione pubblica
quanto, più concretamente, l'agire del Congresso.
D. – Oltre cento leader tribali,
ma anche la popolazione, non crede che la strage sia opera di un singolo soldato …
R.
– Dobbiamo distinguere due livelli. Cominciamo da quello della percezione dei notabili
afghani: come in tanti Paesi esiste la dietrologia. Se questa dietrologia non viene
sconfitta rapidamente con un'efficace azione – non solo di comunicazione ma proprio
con fatti di trasparenza – poco importa quale sarà la verità giudiziaria ufficiale
di questa strage. Il secondo piano è che non sappiamo nulla di quello che è successo
in quella zona prima dell’atto di apparente follia di questo soldato. Il fatto che
questo soldato sia potuto impazzire non è affatto straordinario (è un fatto ricorrente,
non solo nell’esercito americano. Ci sono ferite psicologiche profonde che si producono
durante le guerre), quello che è abbastanza straordinario è che un soldato, da solo,
in una zona comunque potenzialmente ostile, se ne esca per fare una passeggiata senza
che nessuno gli dica niente e senza che nessuno esca per proteggerlo. Qui credo che
avremo bisogno di ulteriori chiarimenti. (cp)