Proseguono i raid israeliani a Gaza: ucciso dodicenne, 17 le vittime palestinesi
Proseguono per il terzo giorno consecutivo i raid israeliani su Gaza: oggi è rimasto
ucciso un ragazzo di 12 anni. Il bilancio delle vittime palestinesi sale a 17. Si
contano decine di feriti feriti. Al contempo, una fitta pioggia di razzi si è abbattuta
nel Neghev israeliano, col ferimento di almeno 4 persone. All'origine di questa nuova
escalation di violenza, l'uccisione venerdì a Gaza – con un'esecuzione mirata condotta
da un velivolo israeliano – di Zuheir al-Kaisi, comandante dei Comitati di resistenza
popolare, formazione armata alleata di Hamas. Per un commento sulla situazione in
Medio Oriente, Emanuela Campanile ha intervistato Camille Eid, esperto
di questioni mediorientali:
R. – Ci sono
stati questi nuovi raid israeliani: ormai alla reazione segue la contro-reazione,
alle offensive seguono le contro-offensive. Sappiamo che ieri era stato ucciso un
leader della Resistenza popolare palestinese – così viene definita – e quindi ci sono
stati questi lanci di missili palestinesi contro il Neghev israeliano, e da parte
sua Israele non ha fatto ovviamente attendere la sua risposta. Raid che hanno provocato,
per ora, l’uccisione di una quindicina di palestinesi. Ma il bilancio è provvisorio.
D.
– Diciamo, quindi, che la ripresa di questi scontri è su larga scala...
R.
– Certamente. Si parla di 80 missili lanciati. Il numero è veramente eccessivo e chiaramente
non si fermerà qui. Ora, l’aviazione israeliana ha neutralizzato sei diverse cellule
di miliziani palestinesi, ma la situazione torna a essere davvero incandescente e
rischia di esplodere nuovamente, com’era successo alcuni mesi fa.
D. – C’è
stata qualche dichiarazione dallo Stato di Israele?
R. – Finora non risulta
alcuna dichiarazione ufficiale. Si parlava di accuse, nel senso che al-Kaisi, il leader
ucciso ieri, aveva organizzato un attentato al nord di Eilat e quindi le loro azioni
‘mirate’ avevano questa giustificazione, proprio perché ad essere colpita è stata
la sua macchina. Non mi risultano, al momento, altre dichiarazioni ufficiali, anche
se credo che non tarderanno ad uscire per quanto riguarda quest’ultimo lancio di missili.
D.
– Abbiamo comunque capito che Israele sembra agire con mano molto pesante. Altro punto
davvero dolente è il pericolo-Iran: la situazione, ad oggi, qual è?
R. – Si
torna a paventare il prossimo arrivo dell’Iran all’arma nucleare. Sappiamo che lo
scorso lunedì c’è stato l’incontro di Netanyahu con il presidente americano, Barack
Obama, e lo stesso Netanyahu ha fatto un discorso abbastanza acceso davanti all’Aipac
– che è la lobby ebraica presente in America – paventando proprio l’opzione militare
come prossima. Ha affermato che non è sicuramente una questione di giorni o settimane,
ma non sarà nemmeno questione di anni, e questa dichiarazione ha chiaramente suscitato
una ripresa del dibattito anche all’interno di Israele, perché ci sono pro e contro
riguardo quest’opzione militare. Ora, si attenderà la prossima riunione del gruppo
5+1 per vedere se ci sarà davvero una disponibilità iraniana a riprendere le trattative
oppure no.
D. – Anche perché, molto probabilmente, ci saranno degli stravolgimenti
nelle elezioni in Iran. E’ un po’ tutto da ridefinire...
R. – Non penso che
le elezioni in Iran cambieranno molto il quadro generale, perché non mi risultano
movimenti o forze politiche iraniane contrarie alla definizione dell’Iran come potenza
nucleare. E’ chiaro che gli iraniani, al momento, non parlano ufficialmente di "appetito"
nucleare-militare: tutti affermano che l’Iran ha il diritto, come altri Paesi, a possedere
l’arma nucleare, ma si parla comunque di un possesso per scopi civili. I sospetti
sono comunque ben fondati, perché anche il direttore dell’Agenzia atomica internazionale,
l’Aiea, dichiara che l’Iran non ha detto proprio tutto, e dunque ci sono gli ispettori
che già da alcuni giorni chiedono di poter entrare a visitare alcuni siti, tra i quali
la base militare di Parchin, vicina alla capitale iraniana. Ci si aspetta, quindi,
qualche mossa nei prossimi giorni, perché l’Iaea ha detto che prossimamente gli ispettori
si recheranno lì e alla prossima riunione del 5+1 – che si terrà nel messe di aprile
– valuteranno se questa “finestra di opportunità” di cui ha parlato Obama sarà veramente
aperta o chiusa.
D. – A proposito di Stati Uniti, Israele che tipo di rapporto
ha con l’attuale presidente americano nel quadro di questa crisi interna e nei confronti
dell’Iran?
R. – La maggioranza degli israeliana – ossia il 58% delle persone
intervistate, secondo un sondaggio degli ultimi giorni – afferma che non si deve attaccare
l’Iran senza l’appoggio americano. Parlano della necessità di avere un appoggio e
che non sia quindi un’azione unilaterale da parte di Israele per quanto riguarda un
attacco del genere. Anzi, un giornale iraniano diceva che gli Stati Uniti avrebbero
offerto a Israele, in cambio della rinuncia ad attaccare l’Iran, armi ultra-sofisticate.
Bisogna però vedere se è veramente così. Sappiamo comunque che il presidente Obama
non può rischiare di lanciare un attacco del genere o avallarlo alla vigilia delle
elezioni presidenziali americane. Dopo queste elezioni, forse, il discorso potrà essere
un altro, ma non in questo periodo. Israele è divisa tra queste due opzioni: non vuole
arrivare al giorno in cui l’Iran dichiarerà il proprio possesso dell’arma nucleare,
ma non vuole nemmeno aspettare il dopo-elezioni. (vv)