Libia: migliaia in piazza a Bengasi e Tripoli contro la divisione del Paese
Migliaia di persone sono scese in piazza ieri a Tripoli e Bengasi per manifestare
contro la dichiarazione unilaterale di autonomia della Cirenaica. A pochi mesi dalla
fine della guerra civile, conclusasi con l’uccisione del colonnello Gheddafi, si riaffaccia
nel Paese il rischio di guerra civile. Giancarlo La Vella ne ha parlato con
Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto Studi di Politica Internazionale,
esperto di Libia:
R. - Solamente
nei prossimi mesi e soprattutto in vista delle lezioni di giugno, si potrà capire
che cosa succederà. Ci sono ancora prospettive che possono far pensare che il Paese
rimanga insieme. C’è innanzi tutto la funzione che hanno il petrolio e la distribuzione
della rendita che il governo centrale sta già organizzando. Questo di fatto, potrebbe
aiutare ad unificare il Paese, perché naturalmente per usufruire dei proventi del
greggio, bisogna che vi sia un’unità di intenti e una gestione comune e ordinata del
settore petrolifero, che costituisce circa il 95% delle entrate della Libia. Invece,
per quanto riguarda la democrazia, sono molto più scettico.
D. - Se il Consiglio
nazionale di transizione (Cnt) è stato un’espressione della Cirenaica, per quale motivo
ora si è creata questa frattura tra Tripoli e Bengasi?
R. - In realtà è stata
un’espressione di alcuni elementi del vecchio regime che si sono riuniti in Cirenaica;
infatti questa regione è la parte che è stata liberata e che si è sollevata per prima.
Però c’è stato subito un problema di legittimità, di rappresentanza del Cnt, rispetto
per esempio alle milizie anti-Gheddafi. Questi reparti, che hanno combattuto strenuamente
sul campo, non sono mai state rappresentate politicamente all’interno dell’organismo
dell’autorità centrale: il Cnt appunto. E questo è il problema principale che si è
creato, quello tra il braccio militare della rivoluzione, ossia le varie milizie sparse
ormai per il Paese, e l’organo politico, che invece ha una forte legittimità esterna,
in quanto è sorretto dai governi europei, dai governi arabi e gli Stati Uniti.
D.
- C’è il rischio di una guerra civile?
R. - Secondo me è un rischio ancora
relativamente basso. Più che una nuova guerra civile, il problema è una sorta di “semi
anarchia”, dove il Cnt o il governo centrale non hanno un pieno controllo di tutto
il territorio che viene lasciato alle milizie. Queste possono in qualche maniera rifarsi
a tradizioni del passato. Ricordiamo che la rivalità tra Cirenaica e Tripolitania
esiste ancora, e possono anche basarsi sul tessuto sociale clanico, tribale di cui
oggi la Libia è ancora in gran parte espressione. Quindi in pratica, il modo in cui
interagiranno l’identità nazionale, regionale e l’identità clanico-tribale, è l’aspetto
rimane sicuramente ancora un’incognita per il prossimo futuro.
D. - Il Consiglio
nazionale di transizione sembra in difficoltà di fornte alla comunità internazionale
per le accuse ricevute in relazione ai campi di addestramento di miliziani anti-Assad
che operano in Siria...
R. - È sicuro che vi siano molti libici che hanno cercato
di liberare il Paese dal regime di Gheddafi e che ora si sono dirottati sul regime
siriano e sono in Siria a combattere. Questi sono dati accertati, come era accertato
che, in passato, molti libici, provenienti soprattutto dalla Cirenaica, fossero presenti
sui teatri iracheno ed afghano. Molto più difficile dire se vi siano dei campi di
addestramento in Libia. Non vedo i libici così pronti ad addestrare altre persone,
dato che hanno fatto molta fatica ad addestrare loro stessi. (bi)