Il Papa riceve il primate anglicano, Rowan Williams. Nel pomeriggio i Vespri ecumenici
La giornata odierna di Benedetto XVI ha un tono spiccatamente ecumenico. Questa mattina,
il Papa ha ricevuto in udienza privata l’arcivescovo di Canterbury e primate della
Comunione anglicana, Rowan Williams, mentre nel pomeriggio, alle 17.30, il Pontefice
presiederà i Vespri ecumenici nella Basilica di San Gregorio al Celio, con la partecipazione
dello stesso primate anglicano. Sullo sfondo di questo incontro, vi sono le celebrazioni
per i mille anni del Sacro Eremo di Camaldoli, la cui importanza è spiegata, al microfono
di Federico Piana, dal rettore della Basilica di San Gregorio, padre Innocenzo
Gargano:
R. – San Gregorio
al Celio è un monastero affidato agli eremiti di Camaldoli nel 1573 da Gregorio XIII.
Quando è stato affidato questo luogo agli eremiti di Camaldoli, questo monastero di
Roma aveva già mille anni di storia, perché è stato fondato da Gregorio Magno nel
573. Ora perché questo incontro del Papa Benedetto XVI, con l’arcivescovo di Canterbury,
il primate della Comunione anglicana? Bisogna ricordare che da questo monastero di
Roma, San Gregorio Magno, nel 597 inviò 40 monaci a evangelizzare gli inglesi. Per
cui gli inglesi, sono cristiani cattolici, a partire da questa missione dei 40 monaci
presi dal Monastero del Celio, e inviati in Bretagna. C’è da aggiungere che i monaci
inviati da Roma, hanno proliferato poi in Inghilterra; dai monasteri inglesi partirono
dei monaci ad evangelizzare l’Olanda, la Germania, la Svizzera, l’Austria fino al
fiume Elba. Per cui tutto il Centro Europa, in realtà, è frutto di questa intuizione
di Gregorio Magno.
D. – Parliamo adesso del millenario della fondazione del
Sacro Eremo di Camaldoli, fondato da San Romualdo nel 1012...
R. – A quei tempi
non era molto facile attraversare gli Appennini. San Romualdo, che è di origine ravennate,
per venire verso Roma, doveva attraversare questa catena montuosa, più o meno vicino
al Monte Falterona. L’Eremo di Camaldoli si trovava, di fatto, al confine tra l’impero
bizantino di una volta, e ciò che stava diventando ormai l’Italia dei comuni, poi
delle signorie, etc... Possiamo dire che Camaldoli ha respirato, in qualche modo,
con due polmoni: un polmone che veniva da Ravenna, quindi la tradizione bizantina,
e un polmone che veniva da Roma. E da allora, i camaldolesi sono stati sempre un po’
come una specie di “comunità sulla soglia”. San Romualdo arrivò fino a Budapest, poi
tornò indietro; i suoi discepoli proseguirono, andarono avanti. Per cui i primi nostri
santi, i primi nostri martiri camaldolesi, o discepoli di San Romualdo, sono persone
che sono state martirizzate nei territori della Polonia, dell’Ucraina dell’Est, della
Svezia e tutta la penisola scandinava.
D. – Cosa sono state le “dispute camaldolesi”?
R.
– Furono dei dibattiti che avvennero nel Monastero di Camaldoli, tra i grandi umanisti
fiorentini, tra i quali il famosissimo Marsilio Fiicino, Lorenzo il Magnifico, Cristoforo
Landino; quest’ultimo autore delle “disputazioni camaldolesi” tra monaci e laici,
sui pregi e i rischi della vita contemplativa. Poi naturalmente, questo metodo è stato
sviluppato lungo i secoli, e l’ultimo grande “prodotto” di questo incontro tra laici
e monaci, è il cosiddetto “Codice di Camaldoli”, elaborato nel 1943. Questo testo
permise a questo gruppo di cattolici che si ritrovavano a Calmaldoli, di enucleare
i punti più importanti che la tradizione cristiana e cattolica in particolare, avrebbe
voluto immettere nella costruenda Costituzione italiana.
D. – Periodo fecondo
è stato anche il Concilio Vaticano II…
R. – Il Consiglio Vaticano II ci ha
trovati preparati perché questi laici, che durante il periodo fascista erano stati
portati a Camaldoli da monsignor Montini, che poi sarebbe divenuto Paolo VI, contribuirono
moltissimo a risvegliare un pochino le menti di Camaldoli, aprendoli alla modernità
e quindi a sollecitarli ad un dialogo più libero, più approfondito, con i laici. In
questo dialogo, una parte preponderante, l’hanno avuta gli ebrei che si sono riconosciuti
fratelli a Camaldoli di noi cristiani, quelli che poi Giovanni Paolo II avrebbe chiamato
“i nostri fratelli maggiori”. Proprio a Camaldoli, ogni anno, ci sono degli incontri
tra ebrei e cristiani, che cercano di approfondire l’amicizia tra di noi. (bi)