Santa Sede. Orientamenti sessuali: no a discriminazioni, ma no anche a diritti speciali
L’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, mons.
Silvano Maria Tomasi, ha tenuto due discorsi alla sessione del Consiglio per i
diritti umani in corso nella città elvetica: il primo, sul tema della violenza contro
i bambini nel mondo, il secondo, sulla questione delle discriminazioni in base agli
orientamenti sessuali e all’identità di genere. Ascoltiamo mons. Tomasi a partire
da quest’ultimo intervento. L’intervista è di Sergio Centofanti:
R. – Ho voluto
ribadire, a nome della Santa Sede, che i nuovi tentativi di creare diritti per minoranze,
per piccoli gruppi non portano nella direzione giusta, nel senso che mentre vogliamo
rispettare la dignità e prevenire violenza e discriminazione contro qualsiasi persona,
incluse le persone che hanno un comportamento sessuale diverso, si vuole insistere
sul fatto che i principi proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
già prevedono e già provvedono che non ci sia questa discriminazione, per cui arrivare
a proporre eventualmente dei diritti particolari va a indebolire il principio dell’universalità
dei diritti come è stata finora intesa. Questo è il punto cruciale, mi sembra, da
dover tenere in considerazione. E poi, adesso parliamo di risposta a tendenze che
alcuni Stati e alcuni gruppi di pressione stanno promuovendo, cioè il diritto non
solo al rispetto e alla non discriminazione delle persone che hanno comportamenti
sessuali diversi, ma addirittura in alcuni Stati è stato introdotto il matrimonio
tra persone dello stesso sesso che comporta una interpretazione nuova di questa istituzione.
Dobbiamo quindi prendere posizione e cercare di far capire come, nell’interesse della
società e nell’interesse del bene comune, questi passi non portino a conclusioni positive.
D.
– Lei è intervenuto anche sulla questione dell’identità di genere, della teoria del
“gender”, che va oltre la categoria di “uomo” e “donna” …
R. – Sì: parte di
questa nuova cultura che sta emergendo è la teoria del genere. Questa teoria del genere
si basa su una ideologia, cioè: io non sono uomo o donna perché sono nato con identità
fisiche molto precise, che il Creatore mi ha dato, ma io posso definire in maniera
ideologica quello che oggi sono, che domani posso essere, cambiare la mia identità
e quindi agire poi di conseguenza, in base a questa costruzione ideologica di quella
che io considero essere la mia identità sessuale. E questo pone un principio per cui
se noi partiamo dal presupposto che la realtà non conta, perché quello che conta è
come io costruisco la realtà, creiamo le premesse per una grande confusione, non solo:
ma anche possibilità di conflitti e di autodistruzione. Il realismo cristiano parte
dall’essere come tale, da come un tavolo è un tavolo e una pera è una pera e una pianta
o un fiore sono quello che sono: per quanto io cerchi di cambiarli nella mia immaginazione,
rimangono quello che sono. Così anche per le persone: dobbiamo partire da questa premessa
fondamentale. Poi, dobbiamo naturalmente tener conto che ci sono comportamenti sessuali
diversi. Lì, la società dovrà avere rispetto, salvaguardare la dignità di tutte le
persone ma allo stesso tempo fare in modo che le soluzioni legislative per queste
situazioni non indeboliscano la famiglia, perché il primo dovere dello Stato è la
protezione della famiglia. Quindi, garantire attraverso questa istituzione fondamentale
la continuità della società. Di fatto, vediamo che in tutta la storia e nella totalità
delle Costituzioni degli Stati moderni, c’è sia una definizione di matrimonio tra
uomo e donna sia clausole per la protezione della famiglia. Davanti quindi alle nuove
idee di genere - costruzione ideologica dovuta a comportamenti che rispondono semplicemente
a impulsi o a tendenze che sono di particolari gruppi - dobbiamo stare molto attenti
sia a non discriminare queste persone, ma allo stesso tempo a mantenere forte e chiara
la tradizione e la legislazione internazionale degli Stati, che vede la famiglia soprattutto
come bene comune e la vede intesa come unione stabile di un uomo e di una donna, in
vista di un’eventuale procreazione.
D. – Lei ha avuto anche un altro intervento
sulla violenza contro i bambini...
R. – Sì, di fatto, se noi guardiamo alla
situazione attuale, vediamo che ci sono ancora forti problemi di violenza contro i
bambini: ci sono circa 300 mila bambini che sono forzatamente reclutati in gruppi
di combattimento, per sostenere più di 30 conflitti nel mondo; ci sono poi circa 115
milioni di bambini, su un totale di 215 milioni di minori lavoratori, che sono costretti
a lavori pericolosi. Quindi, la necessità di enfatizzare e di richiamare l’attenzione
della comunità internazionale su questa realtà è abbastanza urgente. Ci sono poi una
varietà di tipi di violenze contro i bambini: c’è purtroppo la violenza in famiglia,
a scuola o nei centri di detenzione, dove, per esempio, bambini minorenni che sono
in cerca di asilo politico o di una soluzione alla loro vita, vengono trattenuti.
Davanti a questa realtà, la Chiesa ha voluto anche rimediare a quella triste esperienza
che abbiamo vissuto in questi ultimi anni della violenza sessuale contro i bambini
da parte di ministri religiosi, di persone che ufficialmente dovrebbero rappresentare
le loro Chiese e invece hanno tradito questo senso di fiducia e hanno abusato di bambini.
Ho voluto poi mettere l’accento forte sul fatto che la Chiesa cattolica si sia veramente
impegnata a prendere delle misure molto strette e molto esigenti. Infatti, parliamo
di tolleranza zero davanti a queste situazioni di persone di Chiesa che abusano di
bambini sessualmente, per prevenire che questi fatti riaccadano in futuro e fare in
modo che i bambini siano protetti nelle istituzioni della Chiesa. Dobbiamo, però,
anche essere molto realistici. Questa triste esperienza non capita solo nelle Chiese.
Purtroppo ci sono numerosi casi di abuso che vengono commessi in famiglia, nell’ambiente
quotidiano di vita e attività dei fanciulli. Questo crea una doppia responsabilità
per la comunità internazionale: non solo quella di educare al rispetto dei bambini,
ma anche quella di provvedere alle leggi, a meccanismi di protezione, affinché siano
davvero efficaci, ricordando che i bambini sono il futuro della società. (gf, ap)