2012-03-07 18:53:29

Save the Children: sconfiggere la mortalità materno-infantile


Nel mondo, 48 milioni di donne partoriscono senza alcuna assistenza, oltre 350 mila muoiono al momento del parto, mentre sono 800 mila i bambini che alla nascita non sopravvivono. In occasione della Festa della Donna, l’organizzazione Save the Children ci ricorda che “essere donna in molte parti del mondo significa oggi ancora vedere a rischio o negato il diritto alla vita per se stessa e per il proprio bambino”. Valerio Neri, direttore generale Save the Children Italia, ne parla al microfono di Francesca Sabatinelli:RealAudioMP3

R. – Milioni di persone vivono in aree del mondo dove non c’è assistenza sanitaria e nessun concetto di igiene fondamentale. Vi sono parti del pianeta dove nessuno dice a una donna che aspetta un bimbo quali siano i rischi che corre a causa della sua condizione di puerpera. Per milioni e milioni di donne questo non avviene. Vi sono inoltre milioni e milioni di donne che vivono nell’analfabetismo più totale, che quindi non hanno le minime concezioni igieniche che potrebbero permettere loro di salvare la propria vita e quella dei loro bambini.

D. – Save the Children, in occasione di questa Giornata, ha scelto di ricordare al mondo questa tragedia sottolineando che è evitabile. Come?

R. – Abbiamo dimostrato che lo è. Save the Children è una grande organizzazione internazionale, ma siamo piccoli rispetto alle Nazioni Unite, ai grandi governi. Ebbene noi, nella nostra semplicità di privati, riusciamo a salvare migliaia, centinaia di migliaia di vite addestrando, a nostre spese, il personale locale su ciò che è fondamentale per un infermiere. Si tratta di persone capaci di insegnare a loro volta alle donne dei villaggi le regole fondamentali, capaci di seguire le donne che si avvicinano al parto e mandarle eventualmente negli ospedali – generalmente molto lontani – se si prevede che si possa trattare di parti pericolosi. Queste persone noi le chiamiamo i “volontari della salute”, "health worker". E’ una cosa estremamente semplice: questi operatori della salute, con la loro bicicletta, con l’asino, con i sandali ai piedi, camminano per decine e decine di chilometri, raggiungono paesetti non raggiungibili altrimenti e lì portano soccorso, salvano realmente le vite. E’ una cosa che se riesce a fare Save the Children, perché il mondo ricco, opulento, non può impegnarsi a farlo?

D. – Parliamo di un altro dramma: quello dei bambini che muoiono entro i cinque anni di età, colpiti da malattie qui da noi paragonabili a semplici raffreddori...

R. – Sì, pensiamo solo a chi di noi non ha avuto il proprio figlio affetto da una semplicissima diarrea. Ebbene, nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto nella fascia sub-sahariana dell’Africa, i bambini muoiono per semplici diarree non gestite correttamente. Per esempio, il bambino ha la diarrea ma la mamma continua a fargli la pappa con l’acqua non bollita e chiaramente il problema, invece di risolversi, si aggrava e il bambino, pian piano, arriva alla morte. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di bambini morti così per ogni Paese. I bambini muoiono perché noi non riusciamo – ricchi e opulenti come siamo – a portare quelle banali informazioni salvavita che in questi Paesi potrebbero risolvere semplicemente la situazione, ripeto, per milioni di mamme e bambini.

D. – Save the Children continua il suo intervento per cercare di abbattere la mortalità materna infantile in decine di Paesi attraverso la campagna “Everyone”. State promuovendo una raccolta di fondi, come procedete?

R. – Acqua Lete è lo sponsor che ha voluto dedicare tutta una campagna pubblicitaria, che adesso è sulle maggiori reti italiane, proprio alla nostra campagna. Come si fa? Con un sms solidale inviato al 45595. Con questo semplice sms di un euro, dal cellulare oppure dal telefono di casa, noi possiamo raccogliere ulteriori fondi da destinare al fine che abbiamo detto. Vorrei solo far notare una cosa: 45595 vale un euro. In Italia, un euro è circa un caffè, ma nei Paesi in cui noi andiamo a lavorare con un euro compriamo le medicine, gli antimalarici, lo zinco, le vitamine. Un euro per noi è una sciocchezza, nel mondo in cui andiamo a lavorare, invece, fa la differenza reale tra la vita e la morte di un neonato. Quindi, prego tutti di darci una mano: 45595. (ap)

Tra i Paesi più colpiti dalla mortalità materno-infantile vi sono l’Afghanistan, il Niger, l’Eritrea, il Mali, la Sierra Leone. Proprio in quest’ultimo ha operato il ginecologo Giuseppe Canzone, della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), che con l’Unicef ha avviato un’intesa per tutelare la salute di madri e neonati. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: RealAudioMP3

R. – In Sierra Leone, abbiamo trovato una situazione veramente drammatica, perché quel Paese, come tutti sanno, è uscito da poco da una guerra civile, da sette-otto anni, che ha messo il Paese in ginocchio. Ci sono strutture di assistenza sanitaria assolutamente fatiscenti. In quel Paese, vivono circa sei milioni di abitanti e si realizzano circa 230 mila parti l’anno: duemila donne muoiono ogni anno di parto e per ognuna di loro almeno altre 30 – quindi nell’ordine di 60 mila donne – avranno sequele invalidanti legate alle condizioni precarie in cui avviene il parto, come infezioni, dolori cronici, fistole, incontinenze di vario tipo. Diciamo, quindi, che una donna su quattro che partorisce in quel Paese o muore o rimane invalida per la vita a causa del parto.

D. – Per quanto riguarda invece i bimbi, sappiamo che un’alta percentuale muore alla nascita e poi un altissimo numero entro i primi cinque anni di vita...

R. – Proprio così. La proporzione delle morti dei bambini è quattro volte superiore alla morte materna. Quindi, per duemila donne l’anno che muoiono di parto, ottomila bambini l’anno muoiono o durante il parto o nelle fasi immediatamente post-parto. Quindi, una percentuale di morte altissima, che avviene anche per malattie che possono essere endemiche, come per esempio la malaria, o la diarrea, che uccide moltissimi bambini. Diciamo che, giustamente, l’Organizzazione mondiale della sanità ha messo al primo posto, come obiettivo del Millennio, la riduzione della mortalità materna ed infantile nei Paesi in via di sviluppo. Noi, come Sigo, abbiamo voluto contribuire a questo obiettivo, unendo i nostri sforzi a quelli che sta facendo l’Unicef, cercando quindi di inviare delle nostre energie sul campo, in maniera da dare una formazione anche a questi medici, che sono 60 per tutta la Sierra Leone, e fra loro uno solo è un ginecologo. Significa che quando la paziente arriva in ospedale trova un medico che, se va bene, fa tutto: il chirurgo, il ginecologo, l’internista e quant’altro. Lì si muore soprattutto per quella che loro chiamano la “triade della morte”. Mi spiego: la gran parte di queste gravidanze intervengono in donne molto giovani e vengono vissute in villaggi periferici, per cui la prima causa di morte materno-infantile è che le donne non si accorgono di essere in gravidanza e di avere un problema; se hanno un problema emorragico a livello periferico muoiono. Il secondo problema è la viabilità, raggiungere l’ospedale. Bisogna quindi vedere in che stagione sono, com’è la viabilità e come raggiungono – il più delle volte a piedi – l’ospedale di riferimento più vicino. La terza problematica è che, se anche queste donne giungono in ospedale, non trovano strutture idonee ad affrontare l’emergenza, perché non ci sono le unità di sangue e non c’è l’esperienza da parte dei medici in grado di gestire l’emergenza e risolverla.

D. – Torniamo al discorso del basso numero di medici presenti nel Paese: la vostra intenzione è quella di formare personale del luogo, oppure vorrete chiedere l’intervento di medici italiani e portarli lì?

R. – Noi abbiamo provato a proporre che qualche medico venisse qua da noi a formarsi, ma questa cosa non è stata accolta positivamente dalle autorità locali, perché dicono che appena qualcuno esce dalla Sierra Leone poi non torna più. Il nostro obiettivo è quello di inviare sul campo delle équipe, formate da medici e ostetriche, che possano andare a formare le ostetriche che risiedono in Sierra Leone. Per questo abbiamo pensato che, intanto, per iniziare questo percorso, prenderemo un paio di strutture come riferimento. Quindi, se qualche radioascoltatore – ginecologi o ostetriche con adeguata preparazione – intendesse partecipare ad un progetto, può contattare la nostra segreteria della Sigo e saremo noi poi a coinvolgerlo nei percorsi che sono in via di definizione. (ap)







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