"Land grabbing": le ong denunciano alla Fao i danni dei nuovi latifondi
Le oltre 800 organizzazioni sociali sostenute dal Comitato Internazionale per la Sovranità
Alimentare denunciano il fenomeno del "Land grabbing", cioè l’accaparramento di grandi
estensioni agricole da parte del mondo dell’impresa e della finanza a scopo d’investimento.
L’occasione è fornita dall’ultimo round negoziale sulla terra presso la Fao a Roma.
Antonio Onorati, presidente del Centro internazionale Crocevia, ci spiega in
cosa consiste il fenomeno del "Land grabbing". L’intervista è di Stefano Leszczynski:
R. – Il “land
grabbing” riassume due fenomeni: uno è quello dell’accaparramento di terra attraverso
gli investimenti fatti da banche, assicurazioni internazionali, fonti di investimento
nazionali. L’altro è quello dell’accaparramento di terra ed investimenti che avvengono
attraverso politiche.
D. – Qual è lo scopo?
R. – Diciamo che il primo
scopo è quello di investire delle risorse finanziarie in attività che producono, in
prospettiva e con certezza, profitti. Per esempio, acquistare la terra in Africa per
produrre cibo è un ottimo affare, perché malgrado la sicurezza alimentare sia molto
importante in Africa, sappiamo già che - all’orizzonte del 2025 – il continente africano,
grosso modo, raddoppierà la sua popolazione. E’ chiaro quindi che si tratta di un
affare certo. Il secondo elemento è che quando si compra della terra, non si compra
solo la terra. Si compra il suo uso, la sua acqua, la sua biodiversità e magari si
comprano anche le persone che ci stanno sopra, quindi si compra il lavoro.
D.
– In sostanza, il primo grosso danno è quello di rendere inaccessibile la terra ai
piccoli coltivatori ed allevatori ...
R. – Sì. Il primo danno assoluto è questo.
Non va poi dimenticato che spesso si parla di terre prive di abitanti, che in quel
momento sono utilizzate da pastori. Ci sono 600 milioni di persone che vivono di pastorizia
e che si nutrono grazie ai risultati dell’allevamento nomade.
D. – Questo
avviene spesso con la complicità dei governi, che permettono questi tipi di acquisti
...
R. – Sì. Dire complicità è però un po’ poco. Questo avviene su richiesta
e attraverso meccanismi di corruzione per cui i beni pubblici – quelli coperti da
diritti collettivi o comunque dello Stato – vengono venduti e i proventi incassati
dalle elite locali. Quindi modificano le leggi, gli accordi internazionali e le regole
del gioco per poter continuare ad espellere i produttori di cibo dalle loro terre.
D.
– Il problema riguarda solo i Paesi in via di sviluppo, o riguarda anche i Paesi già
avanzati ed industrializzati? Insomma, in Europa conosciamo il fenomeno del “land
grabbing” o no?
R. – Sì, conosciamo due forme di “land grabbing” altrettanto
gravi. Da una parte, abbiamo un processo di acquisizione di terre di grande scala
rispetto alla dimensione dell’Europa. Per esempio, in Italia chi compra a 500 ettari,
compra una grande scala, non siamo in Sudan. Lo stesso vale per chi compra la terra
in Ungheria, in Bulgaria, in Ucraina, in Bielorussia, in Polonia dove si comprano
lotti a ventimila ettari, a cinquantamila ettari. Questo è un fenomeno visibile, che
è documentato. I fondi di investimento fanno questo, le banche fanno questo, i capitali
di industria fanno questo, i grandi potentati dello Stato fanno questo e anche i grandi
agricoltori. Ma non è la parte più grave: la parte più grave è il processo di concentrazione
della terra in poche mani, ma questa concentrazione della terra significa anche concentrazione
delle produzioni. Quindi, la creazione di grandi aziende non dà come risultato un’agricoltura
più ricca, ma dà come risultato sicuramente un’agricoltura più povera in termini di
addetti, in numero di aziende, in presenza sul territorio. (cp)