Emergenza siccità nel Corno d'Africa: progetto di Sant'Egidio e Confagricoltura
E’ ancora emergenza umanitaria nel Corno d’Africa, devastato dalla siccità che ha
colpito Somalia, Etiopia e Kenya. In quest’ultimo Paese, sin dall’estate scorsa, la
Comunità di Sant’Egidio ha avviato un programma di aiuti alimentari in zone che erano
rimaste tagliate fuori dall’intervento umanitario internazionale. Ora, dopo la firma
nel dicembre 2011 di un protocollo di intesa con alcune associazioni di agricoltori,
si darà l’avvio a un programma di aiuti più articolato, che è stato presentato a Roma.
Il servizio è di FrancescaSabatinelli:
Soccorso alimentare
immediato per soddisfare il bisogno di cibo delle popolazioni di due aree del Kenya
del nord colpito da forte siccità, e realizzazione, nelle stesse zone, di progetti
agricoli stabili per il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare. Si muove
su questi due binari l’intervento studiato dalla Comunità di Sant’Egidio assieme ad
alcune realtà dell’imprenditoria agricola, come la Confagricoltura, che prenderà definitivamente
forma nei prossimi mesi, con un capitale iniziale di 90 mila euro, per innalzare il
livello di vita delle popolazioni del distretto di East Pokot e della zona sudorientale
del lago Turkana. Sin dall’estate scorsa la Comunità di Sant’Egidio è intervenuta
distribuendo cibo con l’aiuto anche della società civile e dei missionari della Consolata.
MarcoImpagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio:
“Dall’estate
del 2011 sono già otto le grandi distribuzioni che sono state fatte in due zone del
nord del Kenya dai volontari della comunità di Sant’Egidio. Le comunità locali hanno
usufruito di una raccolta fondi – condotta in Italia – per distribuire il cibo acquistato
localmente: in questo modo, abbiamo voluto aiutare anche l’economia locale. In una
seconda fase, che inizierà molto presto, Confagricoltura e altri agricoltori italiani
si sono uniti alla Comunità di Sant’Egidio per promuovere la coltivazione e l’allevamento
in queste zone con le tecniche italiane, che sono di grande aiuto ed ausilio per coltivare
una terra fortemente salinizzata e con poca acqua”. (vv)
Con il sostegno degli
agricoltori italiani, si procederà quindi alla realizzazione di orti e di piccoli
allevamenti, alla costruzione di pozzi e all’avvio di un’attività di formazione degli
agricoltori locali. MarioGuidi, presidente nazionale di Confagricoltura:
R.
– Il nostro ruolo è innanzitutto quello di reperire, tramite la nostra Onlus, le risorse
necessarie ad avviare questo progetto. Dobbiamo poi portare il “know-how” necessario
affinché, nelle aree che abbiamo individuato, si possa creare una micro-agricoltura
in grado di affrancare le popolazioni locali sia dal punto di vista alimentare sia
da quello economico. Creando ricchezza, si crea la possibilità di affrancare questi
popoli da una povertà generica.
D. – Gli operatori che formeranno gli agricoltori
locali saranno italiani e si troveranno a lavorare su una terra difficile, che presenta
degli aspetti particolari: come si potrà intervenire?
R. – Il terreno presenta
particolarità che rendono quell’area molto sensibile. Siamo però a conoscenza di tecnologie,
di colture che possono insediarsi in un territorio la cui difficoltà è legata alla
salinizzazione. Il terreno è cioè salino e per questo le piante faticano a crescervi.
Dobbiamo quindi portare la tecnologia necessaria affinché queste piante possano svilupparsi.
D.
– Quale tipo di colture porterete?
R. – Abbiamo fatto due ipotesi. La prima
ipotesi è quella della produzione di piretro, che è una componente fondamentale dei
prodotti che usiamo noi in Italia per la lotta biologica. Si tratta di una pianta
in grado di produrre una molecola che è ostile ai parassiti. L’altro tipo di coltura
è la produzione di “sisal”, una sorta di canapa per produrre fibre e tessuti che potrebbero
essere impiegati proprio in quell’area. Il piretro andrebbe utilizzato nei Paesi evoluti,
mentre il sisal verrebbe utilizzato in loco.
D. – Come mai gli imprenditori
agricoli italiani hanno sentito la necessità di sostenere e aiutare, anche per il
futuro, popolazioni così in difficoltà?
R. – Non vogliamo assolutamente che
il messaggio dell’imprenditoria agricola sia banalizzato nella quotidianità e nell’attività
dell’impresa. Gli agricoltori sono veramente imprenditori, forse perché siamo tutti
i giorni a contatto con la natura, forse perché alleviamo animali e cresciamo le piante.
Siamo imprenditori che vogliono mantenere elevato il livello di responsabilità sociale.
In Africa ho visto cose che, per lunghi anni, mi hanno fatto ripensare a come la solidarietà
possa essere realizzata e a come possa rivelarsi efficace. Credo che ora, questo strumento
che abbiamo immaginato, sia davvero quello giusto. (vv)