La religiosità degli italiani al centro di un volume edito da "Vita e Pensiero"
Un’indagine pubblicata nel volume edito di recente da "Vita e Pensiero": “Uscire dalla
crisi. I valori degli italiani alla prova”, esamina il tema della religiosità in Italia.
Dai dati raccolti emerge un Paese in cui l’81 per cento della popolazione si dichiara
religiosa, il 78 per cento di fede cattolica, ma che presenta anche tante contraddizioni
e alcuni rischi. La fede non è al riparo da incertezze, prevale un atteggiamento di
ricerca individuale e la volontà di compiere scelte personali. Adriana Masotti
ne ha parlato con Giancarlo Rovati, direttore del Dipartimento di Sociologia
dell’Università Cattolica di Milano e curatore del volume:
R. – Si tratta
di una evidenza empirica che emerge dalla nostra quarta indagine sui valori degli
europei. Presenta due aspetti, questo processo. Un primo processo è quello della personalizzazione,
vale a dire il bisogno che è tipico dell’uomo contemporaneo, di maturare le proprie
convinzioni non solo per tradizione, ma anche per una scelta consapevole. Nello stesso
tempo, c’è anche quello che potremmo indicare come possibile rischio: quello cioè
della “religione fai-da-te”, e cioè una soggettivizzazione delle opzioni religiose
al punto tale che uno poi si costruisce un suo mondo di riferimenti religiosi, anche
– magari – in un modo molto sincretico, prendendo dalla fede a cui è stato educato,
ad esempio quella cattolica, quegli elementi che considera ancora validi ma poi prendendone
altri da altre tradizioni. Un aspetto importante di questa individualizzazione è poi
un rapporto diverso, sia con il problema della verità, in campo religioso, sia anche
il rapporto con l’istituzione religiosa. In ogni caso, l’Italia si conferma cattolica
dal punti di vista del riferimento alla tradizione, ma presenta anche dei forti segnali
di secolarizzazione.
D. – A questo proposito, però, l’Italia tiene ancora perché
si pone al 39.mo posto su 48 Paesi presi in considerazione …
R. – Sì: calcolando
un indice di secolarizzazione che tiene conto della pratica religiosa, della credenza
religiosa e dell’importanza data alla religione, noi possiamo vedere che il Paese
più secolarizzato è la Germania dell’Est; il Paese meno secolarizzato è Malta. Per
dare un’idea, la Francia è al quinto posto, la Germania dell’Ovest è al diciassettesimo
posto … Dunque, l’Italia presenta un profilo di secolarizzazione che è stato equiparato
a quello degli Stati Uniti d’America. Cioè, Italia e Stati Uniti d’America – nell’ambito
delle indagini che si fanno – figurano come i Paesi meno secolarizzati.
D.
– La fotografia della religiosità degli italiani, o anche dell’appartenenza alla fede
cattolica, appare con diverse contraddizioni e anche qualche confusione. Ad esempio,
non per tutti i credenti Dio è un essere personale, non tutti credono nell’Inferno
e nel Paradiso, molti credono nella reincarnazione ecc …
R. – Sì. Qui, da un
lato emerge una scarsa alfabetizzazione alle proposizioni che contraddistinguono il
Credo cattolico, oppure, una presa di distanza. In ogni caso, se noi le guardiamo
dal punto di vista pastorale, queste risposte interpellano il bisogno di una ripresa
di educazione alla fede del popolo cristiano e questo è ciò che anche il Papa ha recentemente
indicato come l’esigenza di una continua ri-evangelizzazione da parte di coloro che
hanno la responsabilità di essere pastori. Quindi, di per sé queste contraddizioni
possono essere un’indicazione del maggiore impegno di formazione dei credenti – da
un lato – ma anche di un maggiore impegno nel far conoscere qual è il punto di vista
della fede cristiana, per tornare a chiarire che cosa davvero nell’ambito della fede
cristiana si intenda, con queste cose.
D. – C’è differenza tra essere “credenti”
ed essere “praticanti” ?
R. – Intanto, i praticanti regolari sono il 32 per
cento, che non è una cifra di poco conto se la paragoniamo ai trend degli ultimi vent’anni.
Questo dato è rimasto stabile, di fatto. E dunque questo fa parte, anch’esso, del
basso indice di secolarizzazione del nostro Paese rispetto ad altri Paesi. E’ vero
che non tutti quelli che si dichiarano cattolici sono poi praticanti, solo una parte,
ma questa quota di praticanti non è piccola se paragonata alle tendenze degli altri
Paesi europei. E questo, direi che è un primo elemento importante. Dall’altro lato,
poi, c’è anche una quota più piccola di praticanti che è anche particolarmente coinvolta
con la propria chiesa, e questo è circa il 10-12 per cento. Potremmo dire che sono
non soltanto “praticanti”, ma “appartenenti”, cioè fortemente identificati anche con
l’organizzazione di chiesa. E dunque, anche su questo bisogna tener conto che ci sono
differenze importanti. (gf)