2012-03-02 20:06:07

Indagine Medu sull'identikit dei senza fissa dimora in Italia


Sono 8.000 le persone senza fissa dimora a Roma, che vivono in condizioni precarie sulle strade dell’esclusione; la maggior parte sono stranieri e il 40% sono richiedenti asilo e rifugiati politici. A Firenze sono 1.000. È quanto emerge da un’indagine condotta dal Medu – Medici per i diritti umani, che ha recentemente pubblicato i dati in un libro dal titolo “Città senza dimora”, disponibile in libreria. Il testo raccoglie anche 6 storie di homeless, testimonianze dirette da parte di chi nella strada cerca di sopravvivere. Ma è possibile tracciare un identikit di queste persone? Alessandra De Gaetano lo ha chiesto a Mariarita Peca, coordinatrice del progetto “Un camper per i diritti” dei rifugiati: RealAudioMP3

R. – Le persone che incontriamo in strada sono per la maggior parte straniere: gli italiani rappresentano una netta minoranza. Per quanto riguarda gli stranieri si tratta – per l’83 per cento – di persone che sono molto giovani, al di sotto dei 30 anni; le persone italiana incontrate, invece, sono di solito più adulte e hanno dei percorsi di vita completamente diversi: per gli stranieri, la strada è una tappa obbligata - ma iniziale - di un percorso che li vede proiettati verso una progettualità futura; per quanto riguarda la popolazione italiana, invece, si tratta piuttosto di una tappa finale, che arriva a seguito di una serie di traumi, che portano la persona a perdere il contatto con il tessuto sociale e con le relazioni umane più significative. A Firenze, poi, la popolazione rom vive una situazione di estrema marginalità: le condizioni igenico-sanitarie sono molto precarie ed hanno difficoltà ad accedere ai servizi, come - ad esempio - al servizio sanitario.
D. – Quali sono concretamente gli interventi del Medu in relazione a questo fenomeno?

R. – Medu è un servizio di soglia: Medu si muove con un’unità mobile, che è un camper attrezzato ad ambulatorio e con un’équipe multidisciplinare, formata da medici, operatori sociali… Inizialmente Medu si muoveva dando assistenza sanitaria ove necessario, orientamento, formazione e in alcuni casi fornendo anche l’accompagnamento presso i servizi socio-sanitari di riferimento. L’attività di Medu si è ora andata intensificando con un progetto rivolto ai rifugiati politici: in questo caso si tratta di un accompagnamento non soltanto nell’orientamento e nell’inserimento nel sistema sanitario, ma anche un accompagnamento legale, un accompagnamento sociale e un orientamento più integrale e complessivo.

D. – C’è una storia particolarmente significativa che emerge dalle strade dell’esclusione?

R. – La storia di un ragazzo molto giovane, un rifugiato politico, che abbiamo incontrato presso l’ex ambasciata somala, dove vivevano un centinaio di rifugiati somali, che avrebbero avuto diritto a un luogo idoneo e dignitoso di accoglienza e che, invece, si trovavano a vivere in strada. Questo ragazzo somalo ci ha raccontato tutto il suo viaggio per arrivare in Italia, attraversando il deserto e attraversando il mare: ci ha raccontato tutte le difficoltà e ci ha raccontato di come – una volta arrivato in Italia – sia stato impossibile per lui trovare quelle protezioni, quelle tutele e quell’accoglienza prevista dalla normativa e che una persona in fuga spera, prima o poi, di trovare. Ci ha raccontato anche di tutti i suoi tentativi per andare in altri Paesi europei, dove trovare migliori possibilità, e di come invece ogni volta venisse rimandato indietro, perché il primo Paese dove la persona viene identificata è l’unico Paese dove la persona può vivere. Questo ci permette di vedere i paradossi di un sistema che non è spesso in grado di accogliere e che finisce per creare homeless, laddove ci troviamo, invece, davanti a persone spesso provate da violenze estreme e da episodi molto traumatici. (mg)








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