2012-02-28 15:07:39

Scontri al confine tra Sudan e Sud Sudan. Per le Nazioni Unite è emergenza profughi


I ribelli sudanesi hanno annunciato di aver ucciso nelle ultime 24 ore, circa 150 soldati lungo la frontiera con il Sud Sudan. Fonti dell’esercito regolare hanno smentito la notizia, ribadendo di aver inferto gravi perdite a “un numero importante di rivoltosi”. Lo scontro secondo i ribelli del Splm (Movimento di Liberazione Popolare Sudanese) si è verificato nei pressi di una base militare a Jau. Intanto, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) denuncia che a causa delle violenze, da giugno 2011, oltre 130 mila persone hanno cercato rifugio in Etiopia e Sud Sudan, indipendente dal Nord da luglio 2011. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Giovanni Sartor della Campagna Italiana per il Sudan:RealAudioMP3

R. – Il Movimento di liberazione sudanese è il movimento che ha preso il potere e governa attualmente il Sud Sudan. Una "costola" di questo movimento è rappresentata dai gruppi situati nel Sud Kordofan, sulle montagne Nuba e nel Nilo Azzurro. Questi due gruppi, entrando a far parte del Sudan con la divisione del Paese, sono diventati dei partiti politici che nel Nord Sudan sono stati dichiarati illegali. Si è quindi creato un nuovo movimento ribelle, collegato allo storico Movimento di liberazione del Sudan che però, formalmente, non ha alcun legame con il Movimento che ha il potere al Sud. E questo viene ribadito fortemente da chi oggi è al potere al Sud, per evitare di creare un conflitto tra due Stati. Cosa che, al momento, ancora non c’è.

D. – Le tensioni tra il Sud Sudan ed il Sudan, nonostante l’indipendenza del Sud Sudan del luglio 2011, sono comunque esistenti. Tensioni che si accentuano per quanto riguarda i proventi del petrolio...

R. – Quasi tutti i pozzi si trovano nel territorio del Sud Sudan. Gli oleodotti si trovano nel territorio del Nord, come anche la raffineria e i porti da cui poi esportare il greggio. Questa, quindi, è una situazione di stallo che al momento non prevede una via di uscita se non, nel lungo periodo, la possibilità per il Sud Sudan di costituire un oleodotto che passi attraverso il Kenya e quindi di esportare il greggio attraverso un canale diverso da quello attualmente esistente.

D. – Il patto di non aggressione tra Sud Sudan e Sudan - l’accordo di Addis Abeba - di fatto è stato violato quatto giorni fa: l’aviazione di Khartoum ha bombardato nuovamente la linea di confine...

R. – Khartoum si giustifica dicendo che i ribelli scappano nel Sud Sudan e quindi sono legittimati ad inseguirli e a bombardare i territori. D’altra parte, il Sud Sudan non accetta questa violazione della sovranità del proprio territorio e quindi si ha una situazione di violazione dell’accordo. E’ evidente che i ribelli che operano nelle due regioni contese del Nord Sudan, come il Sud Kordofan, e il Nilo Azzurro sono in qualche modo sostenuti e appoggiati dal governo del Sud Sudan. Anche se questo non vuole chiaramente diventare ufficiale, perché porterebbe ad una guerra tra due Paesi che, in questo momento, non è nell’interesse di nessuno dei due.

D. – Questa situazione, secondo le Nazioni Unite, ha però generato 130 mila persone che hanno cercato rifugio in Etiopia ed in Sud Sudan...

R. – Il problema, lì, è anche quello di capire l’intervento che deve essere fatto. Si tratta di un intervento prevalentemente umanitario e d’emergenza, che però va attuato in un contesto di grossa emergenza anche per i sud sudanesi. C’è anche il fenomeno di chi rientra in Sud Sudan perché, dopo aver vissuto tanti anni al Nord come rifugiato in attesa di poter rientrare, ora ad aprile dovrà decidere se essere cittadino del Nord o del Sud: c’è la paura di restare apolidi se non si riesce ad abbandonare, entro la fine di marzo, Khartoum.

D. – Come si sta muovendo la comunità internazionale e che cosa bisognerebbe fare?

R. – Dal punto di vista dell’intervento umanitario, la comunità internazionale sta intervenendo, soprattutto in Sud Sudan ed in Etiopia. Di pochi giorni fa è l’autorizzazione a intervenire anche in Sud Kordofan, dove il governo di Khartoum, per mesi, non ha permesso alcun intervento umanitario. Da un punto di vista politico, invece, è mancato il “follow up” dell’accordo di pace del 2005. Oggi è chiaro che lo sforzo deve essere fatto, probabilmente anche a livello di Unione Africana: chiedere, quindi, comportamenti vincolanti dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, evitare di bombardare e – soprattutto per quanto riguarda il Nord Sudan – cercare una pressione sul governo centrale per favorire lo sviluppo di autonomie più forti a livello locale. (vv)







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