Il Senegal ieri al voto per la scelta del nuovo presidente. Nessun incidente, ma ancora
clima di forte tensione dopo le manifestazioni di piazza contro il presidente Wade,
accusato di aver modificato la Costituzione per concorrere ad un terzo mandato. Tutta
l’opposizione potrebbe coalizzarsi su un unico candidato se si andasse al ballottaggio,
ma l’esito elettorale appare molto incerto e potrebbe aprire nuovi scenari per il
Paese. Giancarlo la Vella con Massimo Introvigne, esperto di politica
internazionale, che si trova a Dakar per studiare il processo elettorale senegalese.
R. – Il presidente
Wade, che all’inizio godeva di un ampio consenso, in questo momento è considerato,
all’età di 85 anni, da molti senegalesi troppo anziano per governare ancora il Paese.
Si teme inoltre che voglia preparare la successione al figlio, instaurando un sistema
dinastico che non è ben visto dalla maggioranza della popolazione e poi, come sta
avvenendo per molti governi, la crisi economica globale ha creato un forte malcontento
proprio nei confronti del presidente, il quale, peraltro, gode ancora di una forte
base elettorale. Il nodo del problema sta nel fatto che la maggioranza della popolazione
non crede che Wade possa vincere al primo turno, ma se questo dovesse avvenire, probabilmente
ci sarebbero forti disordini dalle conseguenze imprevedibili.
D. - In caso
di sconfitta del presidente uscente, quale potrebbe essere il futuro immediato del
Senegal?
R. - La situazione sarebbe indubbiamente molto più tranquilla e i
senegalesi potrebbero credere che i timori di elezioni truccate o manipolate a vantaggio
del presidente non si siano concretizzati. Probabilmente, se Wade andasse al secondo
turno perderebbe. I sondaggi sono vietati dalla legge senegalese, ma ci sono due candidati
che sembrano avere le migliori possibilità e, se uno di questi andasse al ballottaggio
con Wade, tutte le forze di opposizione lo sosterrebbero, consentendogli di vincere
al secondo turno.
D. - Perché il Senegal, considerato uno degli Stati africani
più stabili, si trova ora in questa situazione? Dietro questo conflitto c’è anche
qualche altro motivo?
R. - Anzitutto il Senegal è un Paese decisivo per la
stabilità africana, in virtù della sua tradizione democratica e anche per l’importanza
della diaspora senegalese in numerosi Paesi. La crisi deriva da un fatto tipicamente
africano e cioè il tentativo del presidente di non cedere il potere, ma deriva anche
dalla crisi economica che ovunque aumenta le tensioni. Come sempre in questi momenti
di crisi, anche la religione gioca un suo ruolo: il Senegal è un Paese dove si pratica
un islam tranquillo, non violento. Tutto questo è di qualche importanza, perché nelle
manifestazioni contro Wade sono stati lanciati invece degli slogan molto duri, tipici
dell’islam più politicizzato, che non si erano mai sentiti in Senegal. Naturalmente
questo preoccupa anche la minoranza cattolica, che peraltro gode di grande stima:
anzi è alla comunità cattolica e in particolare al cardinale Sarr, arcivescovo di
Dakar, che si guarda con speranza, come personaggio fuori dai giochi di potere, che
ha sempre preso posizione a favore delle fasce sociali più deboli e della democrazia.
Il porporato è una delle poche entità credibili e, nel caso di disordini all’annuncio
del risultato elettorale, potrebbe svolgere un’opera di mediazione per mettere tutti
intorno a un tavolo e calmare le acque.
D. - Un confronto pacifico post-elettorale,
secondo lei, in questa situazione è possibile? R. - Penso che tutto dipenda dal
caso in cui il presidente Wade dovesse dichiararsi vincitore. Se sarà così, anche
nel caso in cui gli osservatori internazionali dovessero dichiarare le elezioni regolari,
molto probabilmente una parte significativa della popolazione non crederà all’esito
del voto e potrebbero quindi esserci dei gravi disordini. Se, invece, si andrà al
secondo turno, penso che il dialogo sia possibile. La recente intervista al cardinale
Sarr concessa alla Radio Vaticana è stata ripresa da tutti i mezzi di comunicazione
qui in Senegal e si è notato il suo appello alla pace e alla riconciliazione, ma anche
i forti timori e un certo pessimismo che io mi permetto di collegare proprio all’ipotesi
di un Wade dichiarato vincitore al primo turno. (mg)