L’Unione Africana in transizione per un maggiore consenso
Che la realtà africana sia estremamente complessa e diversificata è un fatto ormai
acquisito. D’altra parte questo è naturale, dal momento che si tratta dei desideri
e delle aspirazioni di un miliardo di individui, in marcia verso lo sviluppo e che
intendono prendere in mano il proprio destino! Anche l’ultimo summit dell’Unione Africana
ha reso evidente questa “diversità”. Alla Radio Vaticana riceviamo informazioni dai
quattro angoli della Terra, e da tutti i Paesi dell’Africa, che non esprimono vedute
unanimi né medesimi valori. Soprattutto, varia la loro interpretazione. Tuttavia,
nella misura del possibile, le redazioni africane cercano di cogliere i tratti comuni
di tale complessità e di comunicarli, di tanto in tanto, sotto forma di Editoriale.
Un impegno che non tutela dal rischio di assumere posizioni discutibili, sebbene in
buona fede!
Così, a proposito dell’ultimo vertice dell’Unione Africana, noi
cerchiamo di indicare il “bene” da sostituire al “male” e il “meglio” al “peggio”.
Un impegno comune e condiviso, che è nel nostro caso ispirato dal tentativo di comunicare
e spiegare al meglio questa Africa alla ricerca di sé stessa. A fine gennaio,
quindi, ad Addis Abeba i rappresentanti degli Stati membri non hanno raggiunto un
accordo sul nome del futuro Presidente della Commissione dell’UA, e hanno pertanto
deciso di incaricare un esecutivo ad interim. Quest’organo si occuperà degli affari
amministrativi e preparerà le condizioni per un’elezione più consensuale, nel corso
del futuro incontro dei Capi di Stato africani, in programma per il mese di giugno
prossimo a Lilongwe, in Malawi. La transizione attuale sarebbe dunque destinata a
far uscire l’Unione dall’impasse, e a darsi modo di perseguire il negoziato mirato
a sbloccare la prevedibile paralisi diplomatica.
I dossiers all’attenzione
dell’Organizzazione continentale resteranno temporaneamente in ombra, quindi, per
il tempo necessario ad individuare la modalità per uscire dalla crisi. Senz’altro,
sei mesi di paziente attesa sono preferibili rispetto all’assunzione di decisioni
precipitose, che non avrebbero risolto nulla sul fronte delle sfide che incombono
sul continente. Coloro che si sono inquietati per la decisione in favore di un Governo
ad interim, non previsto negli atti ufficiali, avranno modo di capire che la democrazia
si costruisce modellando e adattando gli strumenti a disposizione alla realtà varia
di un’Africa anch’essa, necessariamente, in mutazione. L’ideale, come noto, è sempre
una meta.
Questa “breccia” aperta, in violazione delle regole classiche, è
dunque occasionale, anche se rivela in realtà una certa debolezza del sistema, che
rischia di fare il gioco di soggetti esterni, o comunque poco sensibili alle vere
preoccupazioni del continente. Il punto debole del meccanismo può facilitare l’intrusione
di strutture, le cui intenzioni e il cui modus operandi risultano in totale incoerenza
con le esperienze concrete dell’Africa e con la sua cultura. Questo rischia di favorire,
in finale, l’allontanamento delle soluzioni che dovrebbero vedere in prima linea gli
africani stessi, impegnati per il perseguimento del bene comune.
Non avendo
conseguito un accordo sulla scelta tra i due candidati in lizza per la Presidenza
della Commissione (la ministra sudafricana Nkosazana Dhlamini-Zuma e il gabonese Jean
Ping, il Presidente uscente), l’Africa sembra aver ceduto ancora una volta all’influenza
di soggetti che implicitamente determinano l’agenda della sua storia, senza tener
conto del volere degli africani. Una sudafricana e un gabonese non incarnano, necessariamente,
due visioni antagoniste: gli uni, più efficaci, e gli altri, dotati invece di una
maggiore propensione alla diplomazia e al compromesso, hanno tutto da guadagnare dal
lavorare insieme. Il vertice di Addis Abeba ha rivelato che le scissioni, siano
esse linguistiche o storiche, restano di un certo peso negli ambiti nei quali si assumono
le decisioni essenziali. I sudafricani hanno rivendicato un’alternanza, dunque l’elezione
di un anglofono, dopo il succedersi di due francofoni alla Presidenza della Commissione.
Senza arrivare a parlare di frattura, francofoni e anglofoni hanno giocato ciascuno
la propria parte, ma il risultato non è certo un beneficio esauriente né per gli uni
né per gli altri. Ed è infatti questa mancanza di unità che non aveva consentito all’Africa
di farsi intendere e rispettare dall’ONU, quando si è trattato di decidere della sorte
del dirigente libico, Mouammar Kadhafi, co-fondatore, tra l’altro, dell’UA a Syrte,
sua città natale.
Addis Abeba ha messo in evidenza il bisogno di rispettare
le regole, da parte di un’organizzazione il cui obiettivo è aiutare i paesi membri
a raggiungere la democrazia e la sovranità degli africani per la tutela del proprio
destino. Speriamo che a giugno l’Unione - da poco istallata nei locali lustri della
nuova sede (del valore di 200 milioni di dollari), offerta dalla Cina - saprà scegliere
in totale indipendenza le personalità in grado di difendere meglio la sovranità del
continente. Il mondo sta vivendo grandi sconvolgimenti, dei quali l’Africa è stata
con la Primavera araba il punto di partenza. Essi sono guardati e valutati ogni giorno
da una gioventù alla ricerca di ideali e modelli. È importante non deludere queste
speranze.
In occasione del suo viaggio memorabile in Benin, nel novembre scorso,
Papa Benedetto XVI ha scelto parole forti e dirette, che hanno il potere profetico
di restare attuali per tutti e in ciascun luogo: “lancio un appello a tutti i responsabili
politici ed economici dei Paesi africani e del resto del mondo. Non private i vostri
popoli della speranza! Non amputate il loro futuro mutilando il loro presente! Abbiate
un approccio etico con il coraggio delle vostre responsabilità e, se siete credenti,
pregate Dio di concedervi la sapienza. Questa sapienza vi farà comprendere che, in
quanto promotori del futuro dei vostri popoli, occorre diventare veri servitori della
speranza.”
Nel giugno prossimo, a Lilongwe, l’Unione Africana avrà tutto
l’interesse a ricordarle, per il bene di un popolo del quale l’Organizzazione sa di
esser uno strumento di servizio.
(A cura di Albert Mianzoukouta,
della redazione francese per l’Africa della Radio Vaticana).