di Sergio Cicatelli, Direttore del Centro di Ricerca Scuola Cattolica Le scuole cattoliche
sono tutte enti no-profit, che non solo non traggono alcun guadagno dalla gestione
ma ci vanno a rimettere, e la prova è che ogni anno si chiudono decine e forse centinaia
di scuole cattoliche. In Italia, diversalmente dal resto d'Europa, c’è un equivoco
sul significato 'pubblico' di scuola. Da noi 'pubblico' sta ad indicare la natura
del gestore, non tanto il servizio che viene reso. Ci domandiamo più chi ci sia dietro
che chi ci sia davanti. Altrove è perfettamente normale considerare pubbliche tutte
le scuole perché tutte svolgono un servizio pubblico e là lo Stato interviene in vario
modo (o retribuendo gli insegnanti, o accollandosi spese di vario genere). L'anomalia
è tutta italiana. Sia nel numero che nella modalità di gestione. Perché altrove l’incidenza
delle scuole non statali è maggiore che in italia. Sugli altri criteri contenuti
nelle norme IMU (la nuova ICI) per i beni della Chiesa, in base ai quali sono previste
esenzioni (accoglienza di studenti disabili, applicazione del contratto collettivo
per gli insegnanti, pubblicazione del bilancio, assenza di discriminazioni per l'ammissione),
il prof. Cicatelli ricorda che questi sono già previsti dalla legislazione sulla parità
(l.62/2000) e quindi sono già rispettati. "E’ auspicabile un minimo di ragionevolezza
- si augura Cicatelli - e soprattutto lo sforzo di riportare la questione sul piano
più culturale che economico. Il problema è di libertà di scelta educativa da parte
delle famiglie. Sono in ballo dei diritti costituzionali che debbono essere resi concreti
dalle condizioni materiali attraverso le quali è possibile esercitarli". (a cura
di Antonella Palermo)