Imu, Centro Studi: lo Stato non finanzia le scuole cattoliche ma chiede di pagare
le tasse
Resta forte l’allarme nel mondo ecclesiale per gli effetti deleteri che il pagamento
della tassa Imu, la nuova Ici, potrebbe avere sulle scuole cattoliche, in particolare
su quelle dell'infanzia, che ne rappresentano i tre quarti. Mons. Michele Pennisi,
segretario della Commissione Cei per l'Educazione, ha già ricordato che ''la legge
del 2000 voluta da Berlinguer prevede che le scuole non statali abbiano gli stessi
diritti degli alunni delle scuole statali” e che esse non regalano diplomi in cambio
di quattrini, ma sono invece dei servizi educativi alle persone, soprattutto alle
fasce più deboli. Sulla delicata questione, il ministro dell'Istruzione, Francesco
Profumo, ha annunciato che il governo valuterà oggettivamente la materia in settimana,
per trovare la soluzione migliore. Al momento, tra i criteri di esenzione previsti
dalle norme sull’Imu per i beni della Chiesa, il più importante riguarda le scuole
la cui attività non chiude con un risultato superiore al pareggio economico. Su questo
aspetto, Antonella Palermo ha sentito il prof. Sergio Cicatelli, direttore
del Centro Studi Scuola Cattolica:
R. - Le scuole
cattoliche - soprattutto quelle che dipendono direttamente dalle autorità ecclesiastiche,
in quanto gestite da Istituti religiosi, da diocesi o parrocchie - sono tutti enti
no-profit che non solo non traggono nessun guadagno dalla gestione di queste scuole,
ma ci vanno a rimettere. La prova è il fatto che ogni anno, purtroppo, si chiudono
decine e forse centinaia di scuole cattoliche. Diciamo che, in linea di massima, non
ci si arricchisce istituendo e gestendo una scuola, anzi di solito è stata l’iniziativa
autonoma di questi enti religiosi che ha supplito con proprie risorse alle perdite
di gestione che inevitabilmente si vanno a creare. Teniamo presente che le rette richieste
dalle scuole cattoliche sono sempre ai limiti della sopravvivenza e ricordiamo anche
che più del 10 per cento degli alunni di scuola cattolica fruiscono di una riduzione
diretta.
D. - Quanto rendono allo Stato le scuole cattoliche?
R. - Una
ricerca, fatta un paio di anni fa e riconosciuta come valida anche dal Ministero dell’istruzione,
aveva rilevato che il risparmio per lo Stato è di cinque miliardi e mezzo di euro
l’anno, sulla totalità delle scuole paritarie e non solo sulle scuole cattoliche.
Tenendo presente che le scuole cattoliche sono, appunto, i due terzi di quelle paritarie,
è facile un confronto.
D. - Perché nel resto d’Europa le scuole cattoliche
sono sovvenzionate dallo Stato e, invece, in Italia la situazione è diversa?
R.
- Credo sia fondamentalmente una ragione di carattere culturale e ideologico. Da noi
c’è l’equivoco sul significato pubblico della scuola, dove per “pubblico” di solito
si intende la natura del gestore e non il servizio che viene reso. Ci domandiamo davvero
più chi ci sia dietro che non chi ci sia davanti? Altrove, nel resto d’Europa, è perfettamente
normale considerare pubbliche tutte le scuole, perché svolgono tutte un servizio pubblico
e di conseguenza altrove lo Stato interviene in vario modo: o retribuendo gli insegnanti
direttamente o accollandosi spese di vario genere o contribuendo in vario modo. Dobbiamo
tener conto anche del fatto che l’anomalia è tutta italiana sia nel numero, sia nella
modalità di gestione, perché altrove l’incidenza delle scuole non statali è maggiore
che non Italia.
D. - Lei è uno degli interlocutori della scuola cattolica
presso il Ministero dell’istruzione-università e ricerca, come potrà incidere - se
potrà farlo - la sua voce, il suo contributo in un eventuale cambiamento di rotta?
R.
- Personalmente, credo di poter fare molto poco, perché il nostro Centro studi si
limita a fornire documentazione, risultati di ricerca, spunti di riflessione. Tocca
poi ad altri - alle Federazione delle scuole cattoliche, alle associazioni del settore
- cercare di fare le pressioni possibili e opportune per cercare di ottenere delle
condizioni migliori. Mi auguro che si riesca a ottenere qualcosa, anche perché sarebbe
assolutamente paradossale penalizzare delle scuole che offrono un servizio pubblico:
non si vede per quale motivo debbano andare a pagare un’imposta che non viene chiesta
ad altre scuole… Il problema non è solo un problema di costi, ma è un problema di
cultura, di libertà di educazione, di libertà di scelta educativa da parte delle famiglie.
Sono dei diritti costituzionali che poi debbono essere resi concreti dalle condizioni
materiali, attraverso le quali è possibile esercitarli. (mg)