Il Bundestag ha dato il via libera al secondo piano di aiuti alla Grecia. Per legge
ogni provvedimento comunitario che abbia un impatto sulle finanze pubbliche tedesche
deve essere approvato dal Parlamento. Intanto cauto ottimismo è stato espresso dal
summit messicano del G20, secondo cui l'Europa ha fatto importanti progressi negli
ultimi mesi, anche se molti Paesi continuano a rimanere in recessione. Salvatore
Sabatino ha chiesto una valutazione sull’incontro a Ugo Bertone, direttore
di Finanza e Mercati:
R. – Se vogliamo
vedere il bicchiere mezzo pieno, è caduta la pressione sull’Italia. Al precedente
G20 era di grande attualità mandare degli “sceriffi” per controllare che non mentissimo;
oggi gli ispettori del Fondo possono venire in Italia, saranno i benvenuti, ma non
avranno il compito degli 007. Invece, se vediamo il bicchiere mezzo vuoto diciamo
che la Germania ha continuato a fare muro e a rifiutarsi di aumentare la dotazione
dei fondi europei. A questo punto, gli altri Paesi hanno detto: “Se voi europei non
vi muovete, noi non ci muoveremo per primi o indipendentemente. Prima aprite il portafogli
voi, poi paghiamo noi”.
D. – Il presidente della Bce, Draghi, da parte sua
ha invocato una riforma del mercato del lavoro sull’esempio di quella realizzata in
Germania. E’ possibile applicare questo modello a tutti i Paesi europei?
R.
– E’ necessario, più che altro. Se questo non avverrà assieme ad un atteggiamento
fiscale comune, credo che i tentativi – tra cui lo sforzo che la Bce sta facendo sul
fronte del finanziamento delle banche – serviranno semplicemente a guadagnare tempo;
ma tra un anno, un anno e mezzo saremo al punto di prima. Una moneta unica può reggere
dieci anni, come ha retto l’euro; ma se non si fanno passi successivi sulla strada
dell’organizzazione dell’economia e del fisco, non si va da nessuna parte.
D.
– Complessivamente, possiamo dire che l’impegno del G20 è fortemente orientato alla
crescita e all’occupazione: non sono stati un po’ sottovalutati questi due aspetti
nei piani di risanamento presentati dai Paesi in difficoltà?
R. – Ci sono due
filosofie a confronto. La filosofia americana, che orienta anche la Federal Reserve,
ed è per la massimizzazione dei posti di lavoro, indipendentemente dalla sanità delle
finanze pubbliche, anche perché gli americani possono permetterselo. La regia europea
– tedesca – ritiene invece che questo serva soltanto a creare ricchezza fittizia ed
a creare problemi, più che altro ad evitare che i Paesi più cicale non prendano i
dovuti impegni. Ecco, i tedeschi non si fidano ad allargare i cordoni della borsa,
perché pensano che tutto sommato gli spagnoli sono i soliti spagnoli e gli italiani
– soprattutto – i soliti italiani.
D. – La crisi Greca continua ad essere una
questione irrisolta: c’è ancora il pericolo che il Paese ellenico possa andare in
default?
R. – Penso di sì. Soprattutto penso che il cosiddetto “salvataggio”
sia servito a mettere in sicurezza il mondo finanziario, anche perché nessuno ha un
quadro chiaro di quanti contratti derivati, di quanti Cds siano in circolazione sulla
Grecia. Quindi, un default la settimana scorsa poteva essere più devastante di quello
dei Lehman Brothers. Infatti, noi sappiamo che la Grecia oggi viene finanziata intorno
ai 250 miliardi - la cifra sarebbe stata solo di 100 miliardi se ci fossimo mossi
due anni fa - ma dietro questi 250 miliardi, nel caso ci fosse stato un fallimento,
probabilmente c’erano contratti forse per oltre mille miliardi. Ecco: quindi, si sono
salvate le banche. Adesso si passa alla situazione greca, quella vera, quella realistica
e credo che bene o male i veri nodi politici debbano ancora venire al pettine. C’è
un aneddoto: l’altro ieri, la Germania ha offerto alla Grecia 160 ispettori fiscali
volontari, che dovrebbero andare in Grecia ad aiutare a raccogliere le tasse. L’offerta
è stata accolta, ma i giornali di ieri, ad Atene, già annunciavano una mobilitazione
contro l’ultima versione della “Wehrmacht”, come l’hanno definita. (gf)