Afghanistan: ancora vittime nelle proteste dopo il rogo del Corano
Alta tensione in Afghanistan nel quinto giorno di proteste antioccidentali esplose
dopo la distruzione delle copie del Corano nella base Usa di Bagram. Sono 8 le vittime
negli scontri odierni in 4 province, oltre 50 i feriti. Grave la situazione a Kunduz
dove sono stati incendiati negozi, edifici, auto e presa d’assalto la sede dell’Onu.
A Kabul due consiglieri militari americani sono rimasti uccisi nella sparatoria avvenuta
presso il Ministero dell’interno. Un fatto gravissimo che accresce il potere dei talebani
nel Paese. Ecco il commento di Marco Lombardi, responsabile dei Progetti educativi
in Afghanistan della "Cattolica" di Milano. Cecilia Seppia lo ha intervistato:
R. – Io considero
quello che è accaduto un'incredibile leggerezza e non credo che ci sia stata alcun
strategia dietro: bruciando il Corano si è commesso uno sgarbo pesantissimo. E non
solo: è chiaro che questo sgarbo viene utilizzato come una opportunità per far crescere
tutto il già devastante sentimento antiamericano e antioccidentale.
D. – I
talebani ovviamente fomentano quest’odio e cercano anche di sfruttare l’episodio,
chiedendo alle forze si sicurezza afghane di "redimersi" e di attaccare i militari
della Nato...
R. – Certo e sarebbe drammatico. Siamo veramente a un punto
di svolta: l’abbandono del 2014 dell’Afghanistan crea degli enormi problemi, perché
purtroppo la situazione non è tale - anche prima di questo evento - da far pensare
a un ritorno della normalità attesa dall’Occidente nel 2014. Questo evento spinge
i talebani a forzare la mano per una cacciata degli occidentali: se con l’uscita del
2014, ci saremmo aspettati forse nel giro di un anno o due un ritorno all’Afghanistan
di prima, oggi – se questo dovesse capitare con una espulsione – significherebbe che
abbiamo buttato via tutto quello che è stato fatto – nel bene e nel male – negli ultimi
dieci anni... Saremmo daccapo!
D. – Tra l’altro le scuse del presidente Usa
Obama, arrivate forse anche un po’ in ritardo, di Allen, il comandante delle Forze
Isaf a Kabul, non sono servite a niente?
R. - Ma non servono assolutamente.
Obama parla a Karzai e Karzai parla ad Obama: al resto dell’Afghanistan, che è quello
delle valli e delle montagne, parla la gente che le cammina e non la gente che parla
in televisione. Quindi sono del tutto inutili! Queste attività formali, che hanno
un senso sul piano della relazione politica, non hanno un senso sul piano della relazione
strategica e del terreno.
D. - La protesta ha oltrepassato i confini ed è
arrivata anche in Pakistan e Bangladesh: oggi cortei e slogan antiamericani. Il rischio
è che un fatto come questo possa diventare un pretesto per - da un lato - sfogare
altre frustrazioni di vario segno e - dall’altra - per chiedere proprio il ritiro
totale delle truppe in qualche modo…
R. - E’ già più che un pretesto quello
che è accaduto. Quello che sta accadendo in Pakistan è assolutamente drammatico, perché
in realtà si sta formalizzando una saldatura fortissima tra l’Oriente dell’Afghanistan
e l’Occidente del Pakistan, che è il nuovo "santuario" del radicalismo islamico.
D.
- Il governo, tra l’altro, sta cercando di reagire come può: ha imposto il coprifuoco
in alcune aree; ci sono soldati schierati un po’ ovunque. Un clima di forte tensione,
che si aggiunge alla guerra che c’è lì perennemente…
R. - E’ chiaro che la
risposta è automatica, perché fa parte delle procedure: chiudersi a fortino per controllare
le zone, gli accessi… La procedura è inevitabilmente quella. Il problema è che la
ricucitura non avviene solo parlando tra presidenti, quindi tra governanti; la ricucitura
deve arrivare a livello di dialogo con la popolazione. (mg)