La decrescita felice: Serge Latouche presenta a Loppiano la sua teoria alternativa
al capitalismo
Il capitalismo è arrivato al capolinea e va superato con un sistema produttivo totalmente
diverso: è la convinzione su cui si basa la teoria della decrescita il cui inventore
è Serge Latouche. L'economista e sociologo francese ha presentato ieri pomeriggio
la sua visione di uscita dalla crisi economica attuale, al Polo Lionello Bonfanti
nei pressi di Loppiano, la cittadella del Movimento dei Focolari. Titolo della conferenza
svolta in dialogo con due economisti sociali, Stefano Bartolini e Luigino Bruni: "Il
bruco e la farfalla: quale capitalismo deve uscire da questa crisi?". Ma che differenza
c’è tra la recessione, che oggi ci fa tanta paura, e la “decrescita felice”, da lui
sostenuta? Adriana Masotti lo ha chiesto allo stesso prof. Latouche
R. – La recessione
è una forma di crescita negativa e di austerità forzata. La decrescita, invece, è
un processo totalmente diverso: è il progetto di uscire dalla società che è basata
sulla crescita infinita. Non dobbiamo uscire dalla crescita, ma dalla società di crescita.
Dobbiamo organizzare una società dove l’occupazione non sia più legata alla crescita.
D.
– Lei ha di recente scritto un libro per rispondere ai malintesi ed alle controversie
che ha suscitato la sua teoria della decrescita. In effetti, non sembra sia stata
accettata con tanto entusiasmo, almeno non da tutti. Perché questa resistenza?
R.
– La resistenza è normale, perché noi siamo “tossicodipendenti” dalla società dei
consumi. Naturalmente, i “trafficanti di droga” sono le duemila imprese transnazionali
che hanno interesse nel mantenere questa società dei consumi e che dobbiamo cercare
di affrontare. Il problema è che i “drogati” siamo noi, e preferiamo continuare a
frequentare i nostri “trafficanti di droga” piuttosto che intraprendere una cura medicinale,
anche se sappiamo – più o meno bene – che il consumo della droga ci porta alla morte.
Il problema è che la nostra società e la nostra economia sono basate sulla crescita
infinita: si deve crescere per crescere. E per questo c’è bisogno di far crescere
i bisogni all’infinito, il che significa che si deve consumare sempre di più e distruggere
via via i prodotti che consumiamo. Per questo tutti i prodotti, ad esempio gli elettrodomestici
di casa, dopo alcuni mesi, non funzionano più, devono essere buttati e bisogna acquistarne
di nuovi. Questo fa sì che si consumi una quantità enorme di risorse naturali, che
finiscono per distruggere l’ambiente.
D. – Non si può crescere all’infinito,
ma ci sono tanti Paesi e anche molti poveri, nello stesso Occidente, che non godono
di questa crescita e non consumano così e che, magari, vorrebbero possedere di più.
Per uscire da questa situazione, bisogna forse ricorrere ad una migliore distribuzione
della ricchezza, è una questione dunque di giustizia…
R. – Soprattutto negli
ultimi 30 anni le disuguaglianze si sono sviluppate in un modo incredibile. Basti
pensare che la differenza tra il presidente di Disneyland, Michael Eisner, e un suo
dipendente thailandese è maggiore di circa un milione di volte. Questa è una cosa
oscena. Si deve certamente ridistribuire il prodotto in modo chiaramente migliore,
condividendolo.
D. – Lei lo ha già accennato prima: è il nostro modello culturale
che è andato in crisi, la società dei consumi non funziona più. Ma allora quale idea
di società sta alla base della sua teoria?
R. – Serve una società che sia capace
di porsi dei limiti. E’ impossibile godere della felicità e dell’abbondanza se non
siamo capaci di porci dei limiti: perché senza i limiti non si raggiunge mai la soddisfazione.
Per questo la società della decrescita è, prima di tutto, una rivoluzione culturale,
ma è anche un cambiamento radicale dei sistemi di produzione. Si devono produrre altre
cose e fare molto meglio con meno. Per questo dobbiamo cambiare tutta la logica del
sistema. Ridurre, ad esempio, gli orari di lavoro: lavorare meno per produrre meno,
perché dobbiamo ridurre anche il livello di consumo. Abbiamo bisogno di avere anche
più tempo libero per sviluppare un’altra forma di ricchezza: i beni relazionali. Ossia,
il tempo da dedicare all’amicizia, all’ambiente, a fare tante altre cose, invece che
lavorare come matti.
D. – La crisi che stiamo vivendo in questi ultimi anni
è una grande opportunità, non è solo lei a sostenere questo. Per che cosa è un’opportunità
ed inoltre, quest’occasione la stiamo cogliendo o, piuttosto, la stiamo sperperando?
R.
– Per il momento la stiamo sperperando. Quando però toccheremo il fondo di questa
crisi, probabilmente diventeremo più saggi e vedremo che il progetto ha senso. Ora
la crisi ci porta ad una situazione assurda, dove ci sono tanti disoccupati e tanti
prodotti che non trovano più consumatori. E’ uno spreco gigantesco.
D. – Lei
si trova a Loppiano per un confronto su come “il bruco”, il capitalismo, potrebbe
trasformarsi in farfalla, cioè in qualcosa di più bello…
R. – Beh, su questo
punto probabilmente non sono totalmente d’accordo con gli amici che mi hanno invitato.
Penso che il capitalismo si trasformerà in un qualcosa di peggiore e lo vediamo già
con l’esperienza della Grecia, dove è negata la democrazia. Per uscire da quest’incubo
dobbiamo uscire dal capitalismo. Credo che l’uscita dalla crisi sarà o la decrescita
o la barbarie, cioè una forma di eco-fascismo ed eco-totalitarismo che possiamo già
notare in crescita in tutta l’Europa.
D. – Lei, quindi, non crede in una possibile
trasformazione del capitalismo, ma vuole sostituire al capitalismo un altro sistema…