Don Spriano: centrale l'opera dei volontari nelle carceri
I recenti fatti di cronaca hanno confermato che la situazione negli Istituti di pena
è resa drammatica per lo più dal sovraffollamento. Le condizioni di vita dei detenuti
sono spesso insostenibili, ma ad alleviare le loro sofferenze c’è ogni giorno un esercito
silenzioso che si occupa di loro: i volontari. Ce ne parla Davide Dionisi:
Il successo
a Berlino del film "Cesare deve morire" - la pellicola dei fratelli Taviani interamente
girata tra le mura di Rebibbia - ha riproposto con forza il tema della valorizzazione
e del reinserimento sociale delle persone detenute. Ruolo affidato per lo più al volontariato
che, attraverso un incessante impegno quotidiano, accompagna tanti uomini e donne,
durante l'espiazione della pena, nella delicata fase di transizione da modelli comportamentali
delinquenziali all'adesione ai corretti modelli della civile convivenza. Ci spiega
come don Sandro Spriano, cappellano del carcere:
R. - Oggi, i volontari
che riescono a offrire un servizio ai detenuti, sono davvero preziosissimi, perché
i numeri del sovraffollamento tolgono potere a tutti gli operatori istituzionali,
in quanto non si riesce a seguire individualmente le persone come prevede la Costituzione,
la legge, e quindi dare loro un trattamento individualizzato. E quindi, il fatto che
ci siano volontari che possano fare sia da “centro di ascolto” ai singoli detenuti
che hanno bisogno di parlare, di avere delle risposte, di avere dei collegamenti ,
sia portare avanti delle iniziative a sfondo religioso e creativo, rappresentano oggi
il respiro del carcere. Altrimenti, sarebbe davvero una situazione piuttosto tombale.
Quando il pomeriggio del sabato, la domenica mattina, in carcere non ci sono tanti
operatori, anzi ce ne sono pochissimi, c’è un silenzio impressionante e davvero si
comprende l’abbandono, la solitudine e anche il disinteresse della nostra società.
D.
- Considerato che la potenzialità rieducativa del carcere è connessa con le opportunità
che tale istituzione offre per realizzare scambi interpersonali, l'azione del volontario
in questo senso assume un ruolo chiave…
R . - Sì, anche se purtroppo poi non
si riesce nemmeno con l’aiuto dei volontari, che non neanche sono un’infinità. Diciamo
che le nostre carceri - circa 210 - non hanno tutte la stessa presenza di volontari.
Nelle grandi città, si riesce a esprimere questo volontariato, mentre nei posti piccoli
non c’è quasi niente. E anche qui, nelle grandi città, devo dire che la maggior parte
del volontariato puro è espresso proprio dalla Chiesa di Roma. Però, questa presenza
riesce davvero a fare un controllo sociale, perché tante cose che non funzionano possono
essere da noi denunciate, cercando di risolverle. Normalmente, il detenuto non ha
questa possibilità normalmente.
D. - Non pensa che si debbano determinare,
così come avviene per gli altri operatori penitenziari, settori di specializzazione
anche tra i volontari che operano nel carcere? Penso, per esempio, ai detenuti tossicodipendenti...
R.
- Fino ad un certo punto. Intanto, io non credo che noi dobbiamo sostituire ciò che
lo Stato ha come compito primario, cioè quello di trattare i singoli condannati. E
già qui, c’è una grande distinzione, perché i condannati sono la metà dei detenuti,
gli altri sono in attesa di giudizio. (bi)