Aiuti della Santa Sede per nove Paesi del Sahel colpiti da siccità e desertificazione
Si è da poco conclusa a Roma la 30.ma Sessione del Consiglio di Amministrazione della
Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, l’organismo voluto dal Papa dopo la sua
prima visita in Africa, dove rimase impressionato dalla grande tragedia provocata
dalla siccità e dalla desertificazione. Parlando ai partecipanti alla Sessione, Benedetto
XVI ha rivolto un appello alla comunità internazionale «a considerare seriamente l’estrema
povertà» delle popolazioni del Sahel, le cui condizioni di vita si stanno ulteriormente
deteriorando a causa di una consistente diminuzione delle risorse alimentari e della
carestia provocata dalla mancanza di pioggia e dell’avanzare del deserto. Roberto
Piermarini ha chiesto a mons. Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio
Consiglio Cor Unum di cui fa parte la Fondazione, quali iniziative concrete sono state
prese nel corso di questa 30.ma sessione del Consiglio di amministrazione dell’organismo
vaticano per il Sahel?
R. – Anche quest’anno
il Consiglio di Amministrazione aveva come primo scopo quello di studiare i progetti
che vengono presentati annualmente alla Fondazione per essere finanziati. Quest’anno
superiamo i due milioni di dollari in aiuti per quasi 200 progetti che sono distribuiti
per i nove Paesi che fanno parte della Fondazione e che riguardano in particolare
la lotta alla desertificazione, quindi la lotta alla siccità, l’irrigazione e la formazione.
Devo dire che il Consiglio di amministrazione di quest’anno ha avuto come secondo
scopo, oltre a quello dell’approvazione dei progetti, anche di fare una riflessione
sul senso di una Fondazione pontificia per il Sahel e quindi di rinverdire le motivazioni
che a suo tempo avevano portato Giovanni Paolo II a questo gesto profetico: il fatto
che si ripresenti quest’anno di nuovo questo problema della siccità dice quanto è
importante che si intervenga in questo settore all’interno di questi Paesi. Quindi
il Consiglio di amministrazione ha voluto anche riflettere su come implementare e
rafforzare la presenza della Fondazione nei nove Paesi.
D. – Quali sono i
risichi agroalimentari che stanno colpendo la fascia sahariana in questo tempo?
R.
– Come ha detto anche lo stesso Santo Padre nel discorso che ha rivolto ai membri
del Consiglio di amministrazione, al momento, c’è anche una difficoltà in più rispetto
agli altri anni nel Sahel e cioè la mancanza di piogge dell’anno scorso. La siccità
causata dalla mancanza di piogge ha anche una ricaduta negativa sull’agricoltura e
quindi ne è risultata una mancanza di cibo che avrà il suo apice nei prossimi mesi.
Questa è una situazione abbastanza diffusa, che ovviamente preoccupa, però nello stesso
tempo dobbiamo dire che sia la comunità internazionale sia, nello specifico, alcuni
organismi cattolici stanno cercando di intervenire per prevenire questa crisi. Nella
gravità della situazione stiamo mettendo in opera le condizioni per evitare di arrivare
a una situazione gravemente compromettente.
D. - Che quadro è emerso della
situazione sociopolitica e religiosa dei vari Paesi del Sahel secondo le testimonianze
offerte dai vescovi della regione?
R. – Dobbiamo pensare che si tratta in larga
parte di Paesi dove la Chiesa è una minoranza, in alcuni casi una minoranza veramente
minuscola, in un ambiente segnato soprattutto dall’islam o dalle religioni tradizionali.
Questo secondo me è un valore in più della Fondazione che è nel concreto anche uno
strumento di dialogo concreto con altre religioni e in questo senso lo vogliamo non
solo apprezzare ma sostenere, tenendo presente che la Fondazione sostiene l’opera
della Chiesa. In una situazione così minoritaria la Chiesa cosa può fare se non testimoniare
quello che è? Come ci sta insegnando il Papa insistentemente in questi ultimi tempi,
la fede si manifesta nelle opere e quello che riusciamo a manifestare attraverso la
carità vuole essere alla fine nel piccolo, nel possibile, una testimonianza di Cristo.
(bf)