Di ritorno dagli Stati Uniti, il vicepresidente cinese, Xi Jinping, fa tappa oggi
ad Ankara per un importante faccia a faccia tra Cina e Turchia. Un incontro di carattere
commerciale, che giunge in un momento particolarmente delicato, che ha visto per molti
mesi la contrapposizione sulla delicata questione siriana. Eppure, le posizioni dei
due Paesi sulla repressione messa in atto dal regime di Bashar Al Assad pare sia stata
superata ultimamente. Salvatore Sabatino ne ha parlato con il collega Alberto
Rosselli, esperto di questioni turche:
R. – Vi è una
convergenza, da parte di Ankara e di Pechino, sull’agire in Siria. La Turchia, assieme
agli Stati Uniti, si è praticamente allineata sulla posizione cinese, che si oppone
fermamente come è noto a un intervento – quello richiesto dalla Lega Araba all’Onu
– di una missione di pace in Siria, se non con il consenso del governo di Damasco.
La convergenza di giudizio serve in qualche modo, o potrebbe servire, a rafforzare
ulteriormente quelli che sono già i rapporti di cooperazione, non solo commerciale,
ma anche militare fra Cina e Turchia.
D. – Ovviamente, ci sono anche dei grossi
interessi commerciali tra questi due Paesi...
R. – Sì, indubbiamente, c’è un
grande sforzo comune. Già a partire dal luglio 2010, la Turchia e la Cina hanno praticamente
riaperto quelli che erano stati contatti che negli anni ’50 o ’60 erano rimasti labili.
Eravamo ancora nel clima della Guerra fredda e di una contrapposizione che poi era
molto specifica, tra Turchia e Cina, per quanto concerneva il comportamento di Pechino
nei confronti della forte minoranza turcofona che vive in Xingyang. Non a caso lo
Xingyang è il Turkestan orientale.
D. – Su questo fronte, pare ci sia un accordo
che verrà siglato a breve...
R. – Secondo alcune indiscrezioni, Pechino sarebbe
intenzionata a proporre ad Ankara l’apertura di un Consolato nel capoluogo di provincia
dello Xingyang, che avrebbe, grazie alla presenza di attaché militari turchi, il compito
ufficiale di fare da tramite tra quelle fazioni diciamo più autonomiste che fortemente
anticinesi e il governo cinese stesso. In cambio, la Turchia godrebbe di vantaggi,
in futuro, non indifferenti dal punto di vista economico, in quanto la Cina concederebbe
uno sfruttamento parziale delle miniere di uranio e di altri minerali e metalli molto
pregiati presenti nello Xingyang.
D. – Ovviamente staremo a vedere come evolverà
questa vicenda. Su una cosa, invece, non ci sono dubbi: la Turchia diventa sempre
più l’ago della bilancia nei rapporti diplomatici, soprattutto in questa vasta area
geopolitica che è il Medio Oriente e arriva anche nel Mediterraneo. Si è parlato moltissimo
del "neo-ottomanesimo" e di come si sia mosso Erdogan anche per quanto riguarda le
"primavere arabe": è stato il primo capo estero a visitare tutte le capitali dove
c’era stato un cambio al vertice. La Turchia vuole imporre il suo ruolo guida nei
Paesi arabi, nei Paesi del Medio Oriente?
R. – Indubbiamente. Erdogan si fa
capofila di quello che è il nuovo indirizzo della politica araba. Lei ha parlato,
giustamente, di ottomanesimo: si assiste a una sua rinascita, in quanto la Turchia
si è sempre sentita, nel corso della storia, l’erede di quella che è la grande espressione
araba, molto variegata dal punto di vista etnico. Quindi, con il rafforzamento interno
della Turchia – e con la rinascita di un nazionalismo che, in questi ultimi dieci,
quindici anni è stato piuttosto evidente – il Paese ha riacquistato una propria consapevolezza:
quella di potere in qualche modo condizionare o coordinare la politica del mondo arabo.
D.
– Un ruolo guida che però, di fatto, viene riconosciuto poco in ambito europeo. Sappiamo
delle ultime tensioni, per esempio tra Turchia e Francia. La Turchia, che vorrebbe
entrare nell’Unione Europea, si trova la strada sbarrata. Perché sta succedendo questo
e si potrà risolvere questa situazione?
R. – Le questioni che impediscono in
qualche modo una normalizzazione totale dei rapporti fra Turchia e l'Europa unita
anche da un’eventuale entrata della Turchia nella comunità continentale sono note.
Abbiamo la questione di Cipro, la questione curda e la questione armena. Diciamo che
Erdogan – ben sapendo che esistono delle difficoltà per quello che riguarda ancora
un ingresso della Turchia in Europa – non disdegna, anzi rivolge la sua attenzione
a quello che è il teatro mediorientale e a quello che è il quadrante strategico del
futuro, che è l’Asia centrale. (ap)