Chiude a a Roma la 10.ma Conferenza internazionale sulla distrofia di Duchenne e Becker
Si conclude oggi la 10.ma Conferenza internazionale sulla distrofia di Duchenne e
Becker, presso l'Ergife Palace Hotel di Roma. Si tratta di un incontro che vede riuniti
esperti provenienti da tutto il mondo, per illustrare alle famiglie di Parent Project
Onlus, Associazione di genitori di figli con Dmdb, gli sviluppi della ricerca scientifica
e dell'approccio clinico multidisciplinare. Eliana Astorri ne ha parlato con
la dott.ssa Marìka Pane, neuropsichiatra infantile presso l'Unità di neuropsichiatria
infantile del Policlinico Gemelli di Roma:
R. - La distrofia
muscolare di Duchenne e di Becker è una malattia genetica, una malattia ereditaria,
a causa della quale viene a mancare una proteina che si chiama "distrofina". E’ una
malattia degenerativa legata alle madri, che portano il gene malato e nel 70 per cento
dei casi lo trasmettono ai figli maschi, mentre nel 30 per cento dei casi rimanenti
è una mutazione che noi chiamiamo "de novo": si sviluppa cioè nel feto al momento
della riproduzione.
D. – E’ considerata una malattia rara?
R. – Sì,
è considerata una malattia rara perché ha una incidenza di uno su 3.500 maschi.
D.
– Quali sono i sintomi?
R. – I bambini che ne sono affetti inizialmente sono
normali: fino ai 2-3 anni, in linea di massima, non manifestano i segni della malattia.
Possiamo avere dei riscontri occasionali di un aumento del "cpk", ovvero l’enzima
che a noi medici fa capire che c’è qualcosa che non va. In queste circostanze, abbiamo
dei riscontri occasionali e quindi delle diagnosi molto precoci in bambini molto piccoli.
Altrimenti, di solito, i riscontri alla nostra osservazione arrivano attorno ai 2-3
anni, quando il bambino comincia ad avere delle difficoltà nel camminare o nel correre
o nell’alzarsi da terra o i genitori riferiscono che il figlio, rispetto ai suoi compagni
di asilo, rispetto al fratellino o alla sorellina, ha qualcosa che non va.
D.
– Principalmente, è la funzionalità motoria che viene colpita o può interessare anche
organi? E cosa fa il medico una volta accertata la diagnosi?
R. – Una volta
accertata la diagnosi, il medico deve fare un "follow up" continuo e costante. Dal
punto di vista motorio, cerchiamo di seguirli per contrastare lo sviluppo delle retrazioni
articolari, per cercare di ritardare l’arrivo – ad esempio – della scoliosi, che è
una delle complicanze. O comuqnue per cercare, nel momento in cui perdono la deambulazione,
di assisterli nel farli sedere in maniera corretta e con una postura adeguata. Inoltre,
dobbiamo monitorare soprattutto l’aspetto respiratorio e quello cardiologico. Una
sempre più forte evidenza clinica mostra che questi ragazzi, dal punto di vista cardiologico,
hanno bisogno di una terapia preventiva: già intorno ai 10-11 anni viene somministrato
un farmaco – un acenibitore – associato o meno a un metabloccante, per cercare di
posticipare o comunque ritardare l’arrivo dei problemi cardiologici. Una volta l’anno
fino ad una certa età e poi una volta ogni sei mesi, questi ragazzi devono essere
sottoposti a dei monitoraggi respiratori costanti e continui con l’ossimetria notturna
o con uno studio della capacità respiratoria per accettarci che dal punto di vista
respiratorio non insorgano dei problemi ed essere quindi pronti a gestire i problemi
appena arrivano e non quando è ormai troppo tardi.
D. – Come si è arrivati
a questa decima Conferenza internazionale di Roma, dedicata alla Duchenne e Becker?
R.
– "Parent Project" è un’Associazione di famiglie nata nel 1996, grazie al volere di
Filippo Buccella, che noi non finiremo mai di ringraziare, ed è un’Associazione di
famiglie che ha un ruolo fondamentale e importantissimo: non solo perché fornisce
un aiuto pratico alle famiglie, un aiuto nella gestione e nella presa in carico, ma
soprattutto perché offre un aiuto anche a noi ricercatori. Fa un po’ da catalizzatore
scientifico, perché facilita lo scambio di informazioni e dà la possibilità di creare
delle nuove collaborazione. Cerca, quindi, di focalizzare e di accelerare la ricerca
nell’ambito delle distrofie muscolari e per noi questo è fondamentale e importante:
per noi che dedichiamo la vita a queste malattie è fondamentale migliorare la qualità
di vita di questi ragazzi. Per noi, l’obiettivo finale e futuro – così come quello
dei genitori – è quello di arrivare ad una cura per questi ragazzi. (mg)