Giornata di preghiera e riflessione del Collegio Cardinalizio: gli interventi di mons.
Dolan e mons. Fisichella
Questa mattina ha avuto inizio in Vaticano, nell’Aula nuova del Sinodo, la Giornata
di preghiera e riflessione convocata dal Santo Padre per i membri del Collegio Cardinalizio
e i nuovi cardinali in occasione del Concistoro. La Giornata ha avuto inizio con la
celebrazione dell’Ora Terza, cui ha fatto seguito il saluto introduttivo del Decano
del Collegio Cardinalizio, il cardinale Angelo Sodano. Il tema principale della giornata:
“L’annuncio del Vangelo oggi, tra missio ad gentes e nuova evangelizzazione” è stato
introdotto da un’ampia relazione dell’Arcivescovo di New York, il cardinale designato
mons. Timothy Dolan. Successivamente, il Presidente del Pontificio Consiglio per la
promozione della Nuova Evangelizzazione, mons. Salvatore Fisichella, ha svolto una
Comunicazione sull’Anno della Fede, sul suo significato alla luce della Lettera Apostolica
“Porta fidei”, e ha presentato una serie di iniziative allo studio da parte di diversi
Dicasteri in occasione dello stesso Anno della Fede. Successivamente hanno avuto inizio
gli interventi dei partecipanti alla Giornata. Vi è stato spazio sufficiente per 7
interventi di varia tematica fino alla recita dell’Angelus guidata dal Santo Padre.
Nel pomeriggio, dopo i Vespri alle ore 17, continueranno gli interventi dei partecipanti.
Sul totale dei 213 membri del Collegio cardinalizio, compresi i 22 nuovi cardinali,
ne erano presenti 133. Gli assenti si erano scusati per motivo dell’età o della salute
o di precedenti impegni inderogabili.
Di seguito la relazione dell’Arcivescovo
di New York, il cardinale designato mons. Timothy Dolan:
L’Annuncio
del Vangelo oggi, Tra missio ad gentes e la nuova evangelizzazione
Risale
all’ultimo comando di Gesù, “Andate, ammaestrate tutte le genti!,” ma è tanto attuale
quanto la Parola di Dio che abbiamo ascoltato nella liturgia stamattina ...
Mi
riferisco al sacro dovere della nuova evangelizzazione. È “sempre antica, sempre nuova”.
Il come, il quando, e il dove possono cambiare, ma il mandato rimane lo stesso, così
come il messaggio e l’ispirazione: “Gesù Cristo ... lo stesso ieri e oggi e nei secoli.”
Siamo
radunati nella caput mundi, evangelizzata dagli stessi Apostoli, Pietro e Paolo; nella
città dal quale il successore di Pietro “ha mandato” evangelizzatori ad offrire la
Persona, il messaggio, e l’invito che stanno al cuore dell’evangelizzazione, per tutta
l’Europa, sino al “nuovo mondo”, nell’epoca delle “scoperte geografiche”, nonché l’Africa
e Asia in tempi più recenti.
Siamo riuniti presso la Basilica dove l’ardore
evangelico della Chiesa si espanse durante il Concilio Vaticano Secondo; vicino alla
tomba del Sommo Pontefice che ha reso il termine “Nuova Evangelizzazione” familiare
a tutti.
Siamo radunati con la gratitudine per la fraterna compagnia di un
Pastore che ci fa ricordare ogni giorno la sfida della nuova evangelizzazione.
Sì,
siamo qui insieme come missionari, come evangelizzatori.
Noi accogliamo l’insegnamento
del Concilio Vaticano Secondo, specialmente come viene espresso nei documenti Lumen
Gentium, Gaudium et Spes, ed Ad Gentes, che specificano più precisamente come la Chiesa
intenda il proprio dovere evangelico, definendo l’intera Chiesa come missionaria;
vale a dire che tutti i cristiani, in virtù del Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia,
sono evangelizzatori.
Sì, il Concilio ha ribadito, soprattutto nell’Ad Gentes,
che, se ci sono missionari espliciti, cioè quelli che sono mandati a luoghi in cui
la gente non ha mai sentito il nome mediante il quale tutti gli uomini sono stati
salvati, non c’è tuttavia nessun cristiano che venga escluso dal compito di testimoniare
Gesù, trasmettendo ad altri l’invito del Signore nella vita quotidiana.
Così,
la missione è diventata punto centrale della vita di ogni chiesa locale, di ogni credente.
L’indole missionaria viene rinnovata non solo nel senso geografico, ma nel senso teologico,
in quanto il destinatario della ‘missione’ non è solo il non-credente, ma il credente.
Alcuni si chiedevano se questo allargamento del concetto di evangelizzazione avesse
involontariamente indebolito il significato della missione ‘ad gentes’.
Il
Beato Giovanni Paolo Secondo ha sviluppato questa nuova comprensione del termine,
sottolineando l’evangelizzazione delle culture, in quanto il confronto tra fede e
cultura ha sostituito il rapporto tra Chiesa e Stato che predominava fino al Concilio,
e questo spostamento d’accento comporta il compito di ri-evangelizzare culture che
costituivano una volta il vero motore dei valori evangelici. Così la Nuova Evangelizzazione
diventa la sfida per applicare il richiamo di Gesù alla conversione del cuore non
solo ad extra ma anche ad intra; a credenti e culture dove il sale del Vangelo ha
perso il suo sapore. Perciò, la missio si indirizza non solo alla New Guinea ma anche
a New York.
Nella Redemptoris Missio, al numero 33, il Beato Giovanni Paolo
ha presentato questa impostazione, facendo una distinzione tra l’evangelizzazione
primaria – l’annuncio di Gesù a popoli e contesti socio-culturali in cui Cristo e
il suo vangelo non sono conosciuti – e la nuova evangelizzazione – il riaccendere
la fede in persone e culture in cui si è spenta – e la cura pastorale delle chiese
che vivono la fede e hanno riconosciuto il loro impegno universale.
È chiaro
che non c’è nessuna opposizione tra la missio ad gentes e la Nuova Evangelizzazione:
non si tratta di aut-aut ma di et-et. La Nuova Evangelizzazione genera missionari
entusiasti, e coloro che sono impegnati nella missio ad gentes devono lasciarsi evangelizzare
continuamente.
Sin dal Nuovo Testamento, la generazione stessa che ha ricevuto
la missio ad gentes dal Maestro al momento della Ascensione aveva bisogno che San
Paolo la esortasse a “ravvivare il carisma di Dio”, riaccendendo la fiamma della fede
depositata in loro. Questo è senz’altro uno dei primi esempi di nuova evangelizzazione. E
più recentemente, durante l’incoraggiante Sinodo sull’Africa, abbiamo sentito le voci
dei nostri fratelli che esercitano il loro ministero in luoghi dove la raccolta della
missio ad gentes era ricca, ma, adesso che sono passate due o tre generazioni, avvertono
anche essi il bisogno di una Nuova Evangelizzazione.
L’acclamato missionario-televisivo,
l’Arcivescovo Fulton J. Sheen, disse, “La prima parola di Gesù ai suoi discepoli era
‘venite’, e l’ultima era ‘andate’. Uno non può ‘andare’ a meno che prima non sia ‘venuto’
a lui”.
Una sfida enorme, sia alla missio ad gentes che alla Nuova Evangelizzazione,
è il cosidetto secolarismo. Ascoltiamo come il Santo Padre lo descrive:
“La
secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità
senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa
una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e
dalla coscienza umana. Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna
per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno
e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento
quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati,
dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione
pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui.
Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli
come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla
vita ecclesiale”. (Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti all’Assemblea
Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, 8.III.2008) Questa secolarizzazione
ci chiama ad un’efficace strategia di evangelizzazione. Permettetemi di esporla in
sette punti:
A dire la verità, nell’invitarmi a parlare su questo tema
– “L’Annuncio del Vangelo oggi: tra missio ad gentes e la nuova evangelizzazione”
– l’Eminentissimo Segretario di Stato, mi ha chiesto di contestualizzare il secolarismo,
lasciando intendere che la mia Arcidiocesi di New York è forse “la capitale della
cultura secolarizzata” .
Però – e credo che il mio amico e confratello,
il Cardinale Edwin O’Brien, che è cresciuto a New York, sarà d’accordo – oserei dire
che New York – sebbene dia l’impressione di essere secolarizzata – è ciononostante
una città molto religiosa.
Anche in luoghi che solitamente vengono classificati
come ‘materialistici’ -- come ad esempio i mass media, il mondo dello spettacolo,
della finanza, della politica, dell’arte, della letteratura – un’innegabile apertura
alla trascendenza, al divino!
I cardinali che servono Gesù e la sua Chiesa
nella Curia Romana possono ricordarsi del discorso natalizio di Sua Santità due anni
fa, nel quale ha celebrato quest’apertura naturale al divino anche in quelli che si
vantano di aderire al secolarismo:
“ … considero importante soprattutto
il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore
a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone
forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare
alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia
presente anche per loro… Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di
tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione
su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti
tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde. … Io penso che la Chiesa dovrebbe
anche oggi aprire una sorta di “atrio dei gentili” dove gli uomini possano in una
qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso
al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa.”
Questo
è il mio primo punto: Noi condividiamo la convinzione dei filosofi e dei poeti del
passato, i quali non avevano il vantaggio di aver ricevuto la rivelazione. E cioè
che anche una persona che si vanta di aderire al secolarismo e di disprezzare le religioni,
ha dentro di sé una scintilla d’interesse nell’aldilà, e riconosce che l’umanità e
il creato sarebbero un enigma assurdo senza un qualche concetto di ‘creatore’.
Nei
cinema c’è adesso un film intitolato The Way – “la Via” – in cui uno dei protagonisti
è un attore ben conosciuto, Martin Sheen. Forse l’avete visto.
Lui recita
la parte di un padre, il cui figlio estraniato muore mentre percorre il Cammino di
Santiago di Compostella in Spagna. Il padre angosciato decide di portare a termine
il pellegrinaggio al posto del figlio perduto. Egli è l’icona di un uomo secolare:
compiaciuto di sé, sprezzante nei confronti di Dio e della religione, uno che si definisce
un “ex–cattolico”, cinico verso la fede ... ma che, nondimeno, incapace di negare
che dentro di sé vi sia un interesse incontenibile di conoscere l’aldilà , una sete
di qualcosa in più – anzi, un qualcuno di più – che cresce in lui lungo la strada.
Sì, potremmo prendere in prestito quello che gli apostoli dicono a Gesù nel
Vangelo della Domenica scorsa: “tutti ti cercano”!
E ti stanno cercando
ancora oggi ...
2. Ciò mi porta al secondo punto: questo fatto ci dà una fiducia
immensa e un coraggio determinato per compiere il sacro dovere della missione e della
Nuova Evangelizzazione.
“Non abbiate paura”, come dicono, è l’esortazione
più ripetuta nella Bibbia.
Dopo il Concilio, la bella notizia era che il
trionfalismo nella Chiesa era morto.
Ma, purtroppo anche la fiducia!
Noi
siamo convinti, fiduciosi, e coraggiosi nella Nuova Evangelizzazione grazie al potere
della Persona che ci ha affidato questa missione – si dà il caso che egli sia la Seconda
Persona della Santissima Trinità – e grazie alla verità del suo messaggio e la profonda
apertura al divino, pure nelle persone più secolarizzate nella nostra società odierna.
Sicuri,
sì!
Trionfalisti, mai!
Quello che ci tiene a larga dall'arroganza
e dalla superbia del trionfalismo è il riconoscimento di ciò che ci ha insegnato Papa
Paolo Sesto nella Evangelii Nuntiandi: la Chiesa stessa ha sempre bisogno di essere
evangelizzata!
Ciò ci dà l’umiltà di ammettere che nemo dat quod non habet,
che la Chiesa ha il profondo bisogno di una conversione interiore, il midollo della
chiamata alla evangelizzazione.
3. Un terzo elemento di una missio efficace
è la consapevolezza che Dio non disseta la sete del cuore umano con un concetto, ma
tramite una Persona, che si chiama Gesù.
L’invito implicito nella missio
ad gentes e la Nuova Evangelizzazione non è una dottrina, ma un appello a conoscere,
amare e servire – non qualcosa, ma qualcuno.
Beatissimo Padre – quando Lei
ha iniziato il Suo Pontificato, ci ha invitato ad una amicizia con Gesù, espressione
con cui Lei ha definito la santità.
E' l’amore di una Persona, un rapporto
personale che è all’origine della nostra fede.
Come scrisse San Agostino:
“Ex una sane doctrina impressam fidem credentium cordibus singulorum qui hoc idem
credunt verissime dicimus, sed aliud sunt ea quae creduntur,aliud fides
qua creduntur” (De Trinitate, XIII, 2.5)
4. Ed ecco il quarto punto: questa
Persona, questo Gesù di Nazaret, ci dice che Egli è la verità.
Perciò, la
nostra missione ha una sostanza, un contenuto. A venti anni dalla pubblicazione del
Catechismo della Chiesa Cattolica, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del
Concilio Vaticano II, ed alla soglia di quest’Anno della fede, siamo davanti alla
sfida di combattere l’analfabatismo catechetico.
È vero che la Nuova Evangelizzazione
è urgente perché qualche volta il secolarismo ha soffocato il granello della fede;
ma ciò è stato possibile perchè molti credenti non avevano il minimo idea della sapienza,
la bellezza, e la coerenza della Verità.
Sua Eminenza il Cardinale George
Pell ha osservato che “non è tanto vero che la gente abbia perso la loro fede, quanto
che non la aveva sin dall'inizio; e se l’aveva in qualche modo, era così insignificante
che gli poteva essere strappata molto facilmente”.
Ecco perchè il Cardinal
Avery Dulles ci ha chiamato ad una neo-apologetica, non radicata in vuote polemiche,
ma nella Verità che ha un nome, Gesù.
Allo stesso modo, quando Il Beato John
Henry Newman ricevette il biglietto di nomina al Collegio Cardinalizio, ci mise in
guardia sui pericoli del liberalismo in religione, cioè, “la dottrina secondo cui
non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro ...
la religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale.”
Quando
Gesù ci dice “Io sono la Verità”, dice anche di essere “la Via e la Vita”.
La
Via di Gesù è all'interno e attraverso la Sua Chiesa che come una Madre Santa
che ci dona la Vita del Signore.
“Come avrei conosciuto Lui se non per Lei?”
chiede De Lubac, facendo allusione al rapporto inscindibile tra Gesù e la Sua Chiesa.
Di conseguenza, la nostra missione, questa Nuova Evangelizzazione, ha delle
dimensioni catechetiche e ecclesiali.
Questo ci spinge a pensare la Chiesa
in un modo rinnovato: a concepirla come una missione stessa. Come ci ha insegnato
il Beato Giovanni Paolo Secondo nella Redemptoris Missio, la Chiesa non ha una missione,
come se la “missione” fosse una cosa tra molte che la Chiesa fa. No, la Chiesa è una
missione, e ciascuno di noi che riconosce Gesù come Signore e Salvatore dovrebbe interrogarsi
sulla efficacia propria nella missione.
In questi ultimi cinquant’anni dalla
apertura del Concilio, abbiamo visto la Chiesa passare per le ultime fasi della Controriforma
e riscoprirsi come un'opera missionaria. In qualche luogo ciò ha significato una nuova
scoperta del Vangelo. In paesi già cristiani ha comportato una rievangelizzazione
che abbandona le acque stagnanti della conservazione istituzionale e come Giovanni
Paolo II ha insegnato nella Novo Millennio Ineunte, ci invita a prendere il largo
per una pesca efficace.
In molti dei paesi qui rappresentati, la cultura e
l'ambiente sociale una volta trasmetteva il vangelo, ma oggi non è più così. Ora
dunque l'annuncio del Vangelo – l'esplicito invito a entrare nell'amicizia del Signore
Gesù – deve essere al centro della vita cattolica e di tutti i cattolici. Ma in ogni
occasione, il Concilio Vaticano II e i grandi papi che ne hanno dato interpretazione
autorevole, ci spingono a chiamare la nostra gente a pensarsi come una schiera di
missionari ed evangelizzatori.
5. Quando ero seminarista al Collegio Nordamericano
tutti gli studenti di teologia del primo anno di tutti gli atenei romani furono invitati
ad una messa in San Pietro celebrata dal prefetto della Congregazione per il Clero,
il Cardinal John Wright.
Ci aspettavamo una omelia cerebrale. Ma lui iniziò
chiedendoci: “Seminaristi, fate a me e alla Chiesa un favore: quando girate per le
strade di Roma, sorridete!”
Così, punto cinque: il missionario, l'evangelizzatore,
deve essere una persona di gioia.
“La gioia è il segno infallibile della presenza
di Dio,” afferma Leon Bloy.
Quando sono diventato arcivescovo di New York
un prete mi ha detto: “faresti meglio a smetterla di sorridere quando giri per le
strade di Manhattan o finirai per farti arrestare!”
Un malato terminale di
AIDS alla Casa Dono della Pace tenuta dalle Missionarie della Carità, nella arcidiocesi
di Washington del Cardinale Donald Wuerl, ha chiesto il battesimo. Quando il sacerdote
li ha chiesto una espressione di fede lui ha mormorato: “quello che so è che io sono
infelice, e le suore invece sono molto felici anche quando le insulto e sputo loro
addosso. Ieri finalmente ho chiesto loro il motivo della loro felicità. Esse hanno
risposto “Gesù”. Io voglio questo Gesù così posso essere felice anche io.
Un
autentico atto di fede, vero?
La nuova evangelizzazione si compie con il sorriso,
non con il volto accigliato.
La missio ad gentes è fondamentalmente un sì
a tutto ciò che di dignitoso, buono, vero, bello e nobile che c'è nella persona umana.
La
chiesa è fondamentalmente un sì!, non un no!
6. E, penultimo punto, la Nuova
Evangelizzazione, è un atto di amore.
Recentemente hanno chiesto al nostro
confratello John Thomas Kattrukudiyil, vescovo di Itanagar, nel nordest dell'India,
il motivo della enorme crescita della Chiesa nella sua diocesi, che registra oltre
dieci mila conversioni adulte l'anno.
“Perché noi presentiamo Dio come un
Padre amorevole, e perché la gente vede che la Chiesa li ama” ha risposto.
Non
un amore etereo, ha aggiunto, ma un amore incarnato in meravigliose scuole per bambini,
cliniche per i malati, case per gli anziani, centri accoglienza per gli orfani, cibo
per gli affamati.
A New York anche il cuore del più convinto laicista si
intenerisce quando visita una delle nostre scuole cattoliche della città. Quando uno
dei nostri benefattori, che si definiva agnostico, ha chiesto a suor Michelle perché
alla sua età con i dolori di artrite che aveva alle ginocchia continuasse a lavorare
in una bella ma assai impegnativa scuola; lei ha risposto: “Perché Dio mi ama e io
lo amo e voglio che questi bambini scoprano questo amore.”
7. Gioia, amore
e... ultimo punto.. mi spiace doverlo dire, il sangue.
Domani, ventidue di
noi udranno quello che la maggior parte di voi ha già udito:
“A gloria di
Dio e ad onore della Sede Apostolica ricevi questa berretta, segno della dignità cardinalizia
sappi che dovrai desiderare di comportarti con fortezza fino allo spargimento del
tuo sangue: per la diffusione della fede cristiana, la pace e la tranquillità del
popolo di Dio, e la libertà e la crescita della Santa Romana Chiesa.”
Beatissimo
Padre, potrebbe, per favore, saltare “fino allo spargimento del tuo sangue” quando
mi presenterà la berretta?
Ovviamente no! Ma noi siamo audiovisivi scarlatti
per tutti i nostri fratelli e sorelle anche essi chiamati a soffrire e morire per
Gesù.
Fu Paolo VI a notare saggiamente che l'uomo moderno impara più dai testimoni
che dai maestri, e la suprema testimonianza è il martirio.
Oggi, tristemente,
abbiamo martiri in abbondanza.
Grazie Padre Santo, perché ci ricorda così
spesso coloro che oggi soffrono la persecuzione a causa della loro fede in tutto il
mondo.
Grazie Cardinal Koch, perchè ogni anno chiami la Chiesa al “giorno
di solidarietà” con i perseguitati a causa del vangelo, e per l'invito ai nostri interlocutori
nell'ecumenismo e nel dialogo interreligioso ad un “ecumenismo nel martirio.”
Mentre
piangiamo i cristiani martiri; mentre li amiamo, preghiamo con e per loro; mentre
interveniamo con forza a loro difesa, noi siamo anche molto fieri di essi, ci vantiamo
in essi e annunciamo la loro suprema testimonianza al mondo.
Essi accendono
la scintilla della missio ad gentes della Nuova Evangelizzazione.
Un giovane
a New York mi ha detto di essere ritornato alla fede cattolica, abbandonata nell'adolescenza,
dopo aver letto I monaci di Tibhirine, sui trappisti martirizzati in Algeria quindici
anni fa, e aver visto la loro storia nel film francese Uomini di Dio.
Tertulliano
non si sarebbe sorpreso.
Grazie a voi, Santo Padre e confratelli per aver
sopportato il mio italiano primordiale. Quando il Cardinal Bertone mi ha chiesto di
parlare in italiano, mi sono preoccupato perché io parlo italiano come un bambino.
Ma poi ho ricordato quando, da giovane prete fresco di ordinazione, il mio
primo pastore mi disse mentre andavo a fare catechismo ai bambini di sei anni: “ora
vedremo che fine farà tutta la tua teologia – e se ti riesci a parlare della fede
come un bambino!”
E forse conviene concludere proprio con questo pensiero:
abbiamo bisogno dire di nuovo come un bambino la eterna verità, la bellezza e la semplicità
di Gesù e della sua Chiesa.
Sia lodato Gesù Cristo!
Di seguito
la comunicazione del Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova
Evangelizzazione, mons. Salvatore Fisichella:
Lo scorso 11 ottobre il Santo
Padre firmava la Lettera Apostolica Porta fidei con la quale annunciava l’Anno della
Fede. Esso inizierà l’11 ottobre prossimo in occasione del cinquantesimo anniversario
dell’apertura del Concilio Vaticano II ad opera del Beato Giovanni XXIII e si concluderà
nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo il 24 novembre del
2013. Lo scopo principale di questo anno è ben delineato a più riprese nella Lettera.
Viene detto, anzitutto, che esso intende esprimere “L’esigenza di riscoprire il cammino
della fede per mettere in luce con sempre maggior evidenza la gioia ed il rinnovato
entusiasmo dell’incontro con Cristo” (Pf 2); inoltre, che dovrebbe essere come: “Un
invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo”
(Pf 6); infine, più direttamente, che questo anno possa suscitare: “in ogni credente
l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia
e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della
fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui
tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”.
Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua
credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata,
e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve
fare proprio” (Pf 9).Gli eventi che siamo chiamati a celebrare, quindi, dovranno coniugarsi
con questo obiettivo principale. Rinnovare e fortificare la fede in un momento di
particolare crisi che vede, anzitutto, molti cristiani indifferenti, lontani dalla
vita della comunità e spesso confusi per le vicende della storia che soprattutto in
questo periodo è entrata in una grave crisi di identità e di responsabilità sociale.
I contenuti fondamentali della fede non sono più conosciuti e la partecipazione alla
vita sacramentale conosce una notevole diminuzione mai registrata in precedenza. Lo
stesso entusiasmo missionario che nel passato aveva portato a lasciare il proprio
Paese per inoltrarsi in territori dove il nome di Gesù Cristo non era ancora conosciuto,
si è notevolmente affievolito, con la conseguenza di un’ulteriore indebolimento del
tessuto ecclesiale. Non si può dimenticare, infine, la condizione di profonda frammentarietà
in cui versa la cultura in generale, che impedisce spesso di approdare a una visione
comune e a un progetto di impegno condiviso, che permettono di dare un fondamento
unitario all’azione pastorale per consentire di trovare strumenti coerenti per l’evangelizzazione.
L’Anno della fede, in questo contesto, diventa un’occasione propizia perché la Chiesa
intera offra una comune e unitaria testimonianza della sua fede fiduciosa nel Signore
Risorto, Signore della storia e Re dell’universo.Insieme a questa finalità, non dovrebbero
essere dimenticate due scadenze di particolare rilevanza per la vita della Chiesa
nel secolo scorso. Anzitutto il concilio Vaticano II. Ripetutamente, nei decenni scorsi,
la Chiesa è ritornata a quell’evento per comprendere quanto il suo insegnamento fosse
stato coerentemente recepito. Il Sinodo del 1985 come pure il grande Giubileo dell’anno
2000 sono state tappe importanti per la messa a fuoco del magistero conciliare. Inoltre,
il Catechismo della Chiesa Cattolica è giunto alla sua scadenza ventennale e, insieme
al suo Compendio, hanno bisogno di essere maggiormente conosciuti e promossi nella
pastorale. La Congregazione per la Dottrina della fede ha pubblicato il 6 gennaio
scorso una Nota di carattere pastorale nella quale vengono condensate diverse proposte
che possono trovare facile riscontro a livello delle Conferenze Episcopali, singole
diocesi, parrocchie, associazioni e movimenti. Per quanto riguarda la celebrazioni
di eventi a carattere universale, il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione
è stato incaricato di farsi animatore, coordinatore e propulsore. Sono state presentate
diverse iniziative di carattere religioso, culturale e artistico che troveranno maggior
riscontro nelle prossime settimane quando sarà stilato il calendario degli eventi
che si celebreranno a Roma.