Berlino: al 62.mo Festival del cinema, l'Africa post-coloniale e lotta al razzismo
Un ritorno alle origini del cinema ambientato nell’Africa coloniale portoghese, una
moderna favola indonesiana, un’implacabile atto d’accusa contro il razzismo omicida.
Anche nei giorni che precedono la conclusione, la Berlinale conserva lo slancio creativo
che caratterizza questa sua 62a edizione. A sentire i pareri della critica internazionale
il festival avrebbe già trovato un vincitore in “Tabu” di Miguel Gomez, un film portoghese
che attraverso una messa in scena sorprendente ci fa passare da un finto filmato di
esplorazione degli inizi del XX secolo alla Lisbona contemporanea, per poi liberare
tutta la sua inventiva in un melodramma coloniale girato come un film muto. Ricco
di momenti bizzarri, di colpi di scena, di attori che conquistano con uno sguardo,
di amori infelici, di coccodrilli che nuotano nelle piscine, di sorprendenti numeri
musicali, “Tabu” conferma il talento del suo giovane autore e soprattutto ci ricorda
che, anche con un’economia in crisi e un film in bianco e nero e senza star, il successo
può arridere agli audaci. Altrettanto inventivo, ma meno radicale nelle sue scelte
estetiche, si rivela “Postcards from the Zoo" di Edwin, cineasta indonesiano indipendente
e anticonformista che si firma con il solo nome di battesimo. Passando fluidamente
dal passato al presente, il film, ambientato nello zoo di Giakarta, segue le vicende
di una bimba abbandonata, che cresce in simbiosi con gli animali e i personaggi bizzarri
che abitano quel luogo, una sorta di corte dei miracoli dove si rifugiano i reietti
della società. Piano piano diventerà una donna e si misurerà con le delusioni dei
sentimenti e la corruzione del mondo. Denso di momenti poetici o di situazioni grottesche,
“Postcards from the zoo” vola verso la sua conclusione con la leggerezza di una piuma,
lasciando lo spettatore commosso e sognante. Molto diversa è invece la fine di “Just
the wind” di Bence Fliegauf, che, prendendo spunto da una serie di omicidi mirati
a danno di famiglie rom ungheresi, realmente accadute e oggi oggetto di un processo,
racconta il quotidiano di una di queste prima della sua misera fine una notte d’estate.
In attesa di raggiungere il marito emigrato in Canada, una donna lavora pulendo parcheggi
e scuole, suo padre, malato, non esce di casa, la figlia maggiore va a scuola di inglese,
il figlio più piccolo vagabonda nei boschi che circondano il villaggio. Nessuno di
loro ha un comportamento criminale e tutti tengono gli occhi bassi. Il clima che si
respira è quello violento di un paese che ha abolito la dignità delle persone. La
morte annunciata arriva implacabile. Alla fine tre corpi vestiti per i funerale giacciono
sulle tavole di marmo dell’obitorio. Povere cose, senza più sogni, spazzate via dalla
stupidità dell’odio razziale. (Da Berlino, Luciano Barisone)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 48