Moody's declassa 114 banche europee, ma i fondi Usa ritornano in Europa
L’economia europea è praticamente ferma, la locomotiva tedesca non traina più, l’Italia
è in forte recessione. Solo il Pil francese sui dati del quarto trimestre 2011 segna
un rialzo. In questo contesto si è abbattuta sugli istituti di credito europei la
scure dell’agenzia di rating Moody’s che ha declassato 114 banche, delle quali 24
italiane. A Carlo Altomonte, docente di politica economica europea presso l’Università
Bocconi, Stefano Leszczynski ha chiesto quali saranno gli effetti concreti
di questo declassamento
R. – Le conseguenze
sono che le obbligazioni con cui questi istituti si finanziano sul mercato a lungo
termine diventano leggermente più rischiose, ma si tratta semplicemente, per alcuni
istituti o anche per alcune regioni italiane, di uno step da A3 ad A2. Il costo del
finanziamento e della raccolta di denaro per questi istituti, quindi, sale leggermente.
Le ragioni per cui Moody’s l’ha fatto sono abbastanza note e naturali: il rating di
ogni istituto di credito è molto vicino al rating del Paese in cui questo istituto
ha la sede legale o, comunque, una maggiore base di operazioni. Avendo perciò declassato
il rating italiano la scorsa settimana, com’era nelle previsioni – peraltro, ritengo
che il declassamento sia anche minore rispetto a quello che si potesse pensare, perché
il declassamento è stato di un gradino piuttosto che di due -, ha anche adeguato il
rating degli istituti di credito operanti in Italia e negli altri Paesi declassati.
D.
– Quello che viene da chiedersi è il ruolo di queste agenzie di rating. E’ effettivamente
così importante lanciare questo tipo di allarme sui mercati o sono manovre che hanno
un significato diverso da quello che normalmente si potrebbe interpretare?
R.
– E’ fondamentale avere dei rating, perché la complessità dei prodotti e dei titoli
finanziari che ci sono oggi, la loro numerosità e la rapidità con cui gli operatori
devono prendere delle decisioni, richiedono la presenza di agenzie in grado di dare
un’opinione su quanto è il rischio di un determinato titolo. In questo modo si facilita
molto il lavoro degli operatori e, evidentemente, questo garantisce maggiori condizioni
di liquidità. Per cui, se non ci fossero, avremmo dovuto inventarle. Quello che ogni
tanto lascia un po’ sospettosi, è la tempistica con cui questi rating vengono dati:
spesso e volentieri, sono dei rating che, più che guardare avanti, guardano indietro
oppure avvengono alla vigilia o subito dopo una serie di decisioni politiche. Non
c’è una correlazione di natura deterministica tra questi eventi: a volte il mercato
anticipa quello che poi le agenzie di rating certificano e a volte le agenzie di rating
si portano avanti, con le loro analisi, rispetto a dei comportamenti di mercato e
questo, quindi, crea poi degli scompensi. E’ fondamentale comprendere una cosa: non
si tratta di oracoli. Sono un’opinione, tra le tante, che ci dobbiamo e ci possiamo
formare nel momento in cui valutiamo la bontà dei prodotti finanziari.
D. –
Ieri sono usciti anche dei dati che indicano una nuova recessione dell’Italia. Un
‘downgrade’, da parte di un’agenzia di rating come Moody’s, sull’Europa, rende le
cose più difficili per la ripresa economica?
R. – Sicuramente aumenta il costo
del finanziamento, e quindi non agevola la circolazione di credito e, di conseguenza,
non favorisce una ripresa veloce. Tuttavia, sappiamo anche che la Banca Centrale Europea,
a fine febbraio, interverrà con ulteriori iniezioni di liquidità che dovrebbero, da
questo punto di vista, dare una mano. Per fortuna la Banca Centrale Europea è immune
dal rating, entro una certa misura, nel momento in cui deve accettare il collaterale
per le garanzie che dà quando eroga liquidità, e questo è sicuramente un bene.
D.
– Semplificando all’eccesso, possiamo dire che non c’è uno “sgambetto” da parte del
mercato americano nei confronti di quello europeo con un declassamento del genere?
R.
– No, in questa fase non mi pare. Magari potevamo ipotizzare degli scenari un po’
più ‘complottisti’ lo scorso novembre, ma in questa fase, in realtà, i fondi americani
stanno lentamente tornando in Europa, perché hanno visto che forse, l’Europa, ha imboccato
una strada lenta ma giusta per uscire dalla crisi. Certo, gestire bene la questione
greca sarà importante. (vv)