Unità e impegno concreto, è quanto emerge dai lavori in corso del secondo Simposio
dei vescovi d'Africa e d'Europa
In pieno svolgimento a Roma il secondo Simposio fra vescovi d’Africa e d’Europa dedicato
all'evangelizzazione all’insegna della comunione e della collaborazione. Intanto,
ieri pomeriggio, delegati delle Conferenze episcopali dei due continenti hanno fatto
il punto sui lavori sottolineando una forte comunione di pensiero e di speranze. Al
microfono di Gabriella Ceraso le testimonianze del cardinale Péter Erdő,
presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa e mons Buti Joseph
Tlhagale, arcivescovo di Johannesburg:
R. – Ancora
10 anni fa si aveva l’impressione che vi fossero due gruppi – africani ed europei
- con grandi diversità che dovevano cercare di dialogare tra loro. Oggi ci consideriamo
come confratelli con problemi analoghi, come la migrazione e l’educazione, i problemi
sociali, la giustizia e l’economia. Notiamo, inoltre, che il ragionamento comune è
capace di presentare nuove idee ed anche nuove strategie.
D. – Cosa può dare
l’Europa, in questo momento storico, all’Africa?
R. – Di certo non soltanto
aiuti economici, ma anche una propria conversione: analizzando alcune situazioni di
ingiustizia e di altre problematiche che si presentano in Africa, possiamo trovare
le radici dei nostri Paesi. Dobbiamo perciò alzare la voce, analizzare le cause e
promuovere una visione più giusta ed equilibrata anche nella stessa Europa.
D.
– Mons. Tlhagale, lei ha parlato di un cambiamento di mentalità, nei confronti dell’Africa,
che sta emergendo dal Simposio. Che cosa intende dire?
R. – In questo momento
abbiamo i preti o altre persone religiose che vengono proprio in Africa, rendendosi
responsabili per la loro evangelizzazione. Penso anche che questo cambi il modo di
vedere l’Africa: abbiamo sempre pensato che l’origine delle cose, del modo di pensare
fosse proprio qui, in Europa. Ma non è più così: l’Africa ha un certo influsso sull’Europa.
D.
– Domani il vostro messaggio conclusivo. Quali sono le sue speranze per il futuro?
R.
– Quella che facciamo tra noi è una promessa: possiamo lavorare insieme e possiamo
riuscirci. (vv)