Kosovo: i serbi del nord al referendum sulla legittimità delle autorità di Pristina
Per il secondo giorno consecutivo, oltre 35 mila elettori serbi nel nord del Kosovo
votano per un referendum che invita la popolazione di quattro municipalità - Zvecan,
Zubin Potok, Kosovska Mitrovica e Leposavic - a pronunciarsi sulla legittimità degli
organi di potere e dell'autorità di Pristina. La consultazione, avversata dall’esecutivo
serbo e dal presidente, Boris Tadic, critica di fatto il dialogo intrapreso da Belgrado
con Pristina e si tiene alla vigilia del quarto anniversario della proclamazione unilaterale
d'indipendenza del Kosovo – a maggioranza albanese – dalla Serbia, avvenuta il 17
febbraio 2008. Ce ne parla Francesco Martino, corrispondente della testata
web Osservatorio Balcani e Caucaso, intervistato da Giada Aquilino:
R. – Il voto
di ieri e di oggi non porta novità dal punto di vista della posizione dei serbi del
nord del Kosovo, anche perché i risultati di questa consultazione vengono dati ampiamente
per scontati: la risposta sarà evidentemente “no”. Più interessante è il suo significato
politico, che è utilizzato dai serbi del Kosovo sia per ribadire, appunto, la propria
contrarietà alle autorità di Pristina, sia soprattutto come strumento di pressione
nei confronti del governo di Belgrado. La Serbia si trova in una posizione delicata:
da molto tempo, infatti, il governo del presidente Tadic tenta di assicurare alla
Serbia un futuro nell’Unione Europea.
D. – In questi ultimi mesi, qual è stata
la linea del governo e del presidente Tadic rispetto al Kosovo?
R. – Tra Serbia
e Kosovo sono in corso trattative sotto l’egida dell’Unione Europea: Belgrado teme
che dare spazio a questo tipo di iniziative referendarie possa, in qualche modo, mettere
a repentaglio tutto l’apparato negoziale.
D. – Mitrovica è una delle città
dove si vota ed è un po’ l’emblema della divisione interna del Kosovo: ancora oggi
è divisa in due, tra settore albanese e settore serbo separati dal fiume Ibar. Che
situazione c’è sul terreno?
R. – Fortunatamente, almeno nell’immediato, il
referendum non ha portato a un’escalation di tensione, anche perché – tra l’altro
– il Kosovo è sepolto dalla neve e questo solitamente rende la situazione più tranquilla.
Ciò non significa, però, che il referendum non possa portare a nuove tensioni. Ricordiamo
che questo appuntamento arriva al termine di una lunga fase di crescita della tensione,
che è iniziata la scorsa estate quando il governo di Pristina, insieme con le autorità
internazionali, ha tentato in qualche modo di imporre la propria autorità in questa
parte del Kosovo, portando doganieri fondamentalmente albanesi su questi confini,
che fino ad allora era rimasti aperti.
D. – Ma di fatto, anche da un punto
di vista legale, il referendum che valore ha?
R. – Il suo valore non è stato
riconosciuto da nessuno dei principali attori del teatro kosovaro: né da Pristina
naturalmente, né dalle autorità internazionali e nemmeno da Belgrado. Quindi, si tratta,
in qualche modo, di un messaggio che viene lanciato dall’elite del Kosovo del nord,
che ha organizzato questo referendum, e ha il valore di una consultazione politica.
Dal punto di vista legale, gli effetti saranno nulli.
D. – Il 17 febbraio del
2008 la proclamazione unilaterale dell’indipendenza del Kosovo: quattro anni dopo
che Paese è?
R. – E’ un Paese che ancora ha moltissimo da fare per consolidare
le proprie strutture: le ultime elezioni in Kosovo, ad esempio, sono state macchiate
da brogli particolarmente ampi e preoccupanti. E’ un Paese che soffre poi la fase
di crisi internazionale. Ma è anche un Paese sorprendete per alcuni versi: è un Paese
di giovani – la popolazione kosovara è quella che ha l’età media più bassa in tutta
Europa – e Pristina si è trasformata in modo molto profondo in questi anni. E' una
città dalla quale, nonostante tutti i problemi, emerge una grande voglia di vivere
e di cambiamento che sicuramente colpisce. (mg)