Il Papa all'udienza generale: Dio non ci abbandona mai nelle prove
Gesù sulla croce “ci comunica la certezza che, per quanto dure siano le prove, difficili
i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio”: è quanto
ha affermato il Papa all’udienza generale di oggi nell’Aula Paolo VI in Vaticano.
Benedetto XVI ha continuato a meditare sulla preghiera di Gesù in croce, nell’imminenza
della morte, commentando la narrazione che si legge nel Vangelo secondo Luca. “L'Evangelista
– afferma il Papa - ci ha tramandato tre parole di Gesù sulla croce, due delle quali
– la prima e la terza – sono preghiere rivolte esplicitamente al Padre. La seconda,
invece, è costituita dalla promessa fatta al cosiddetto buon ladrone, crocifisso con
Lui; rispondendo, infatti, alla sua preghiera, Gesù lo rassicura: «In verità io ti
dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Nel racconto di Luca sono così intrecciate
suggestivamente le due preghiere che Gesù morente indirizza al Padre e l'accoglienza
della supplica che a Lui è rivolta dal peccatore pentito. Gesù invoca il Padre e insieme
ascolta la preghiera di quest’uomo che spesso è chiamato latro poenitens, «il ladrone
pentito»”.
Benedetto XVI si è soffermato quindi su queste tre parole di Gesù.
“La prima la pronuncia subito dopo essere stato inchiodato sulla croce, mentre i soldati
si stanno dividendo le sue vesti come triste ricompensa del loro servizio. In un certo
senso è con questo gesto che si chiude il processo della crocifissione. Scrive san
Luca: «Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori,
uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno
quello che fanno”. Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte» (23,33-34). La
prima preghiera che Gesù rivolge al Padre è di intercessione: chiede il perdono per
i propri carnefici. Con questo, Egli compie in prima persona quanto aveva insegnato
nel discorso della montagna quando aveva detto: «A voi che ascoltate, io dico: amate
i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27) e aveva anche promesso
a quanti sanno perdonare: «la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo»
(v. 35). Adesso, dalla croce, Egli non solo perdona i suoi carnefici, ma si rivolge
direttamente al Padre intercedendo a loro favore”.
Il Pontefice sottolinea
che “questo atteggiamento trova un’«imitazione» commovente nel racconto della lapidazione
di santo Stefano, primo martire. Stefano, infatti, ormai prossimo alla fine, «piegò
le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”. Detto
questo, morì» (At 7,60). Il confronto tra la preghiera di perdono di Gesù e quella
del protomartire è significativo. Santo Stefano si rivolge al Signore Risorto e chiede
che la sua uccisione – un gesto definito chiaramente con l’espressione «questo peccato»
– non sia imputata ai suoi lapidatori. Gesù sulla croce si rivolge al Padre e non
solo chiede il perdono per i suoi crocifissori, ma offre anche una lettura di quanto
sta accadendo. Secondo le sue parole, infatti, gli uomini che lo crocifiggono «non
sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Egli pone cioè l’ignoranza, il «non sapere», come
motivo della richiesta di perdono al Padre, perché essa lascia aperta la via verso
la conversione, come del resto avviene nelle parole che pronuncerà il centurione alla
morte di Gesù: «Veramente, quest’uomo era giusto» (v. 47), era il Figlio di Dio. «Rimane
una consolazione per tutti i tempi e per tutti gli uomini il fatto che il Signore,
sia a riguardo di coloro che veramente non sapevano – i carnefici – sia di coloro
che sapevano e lo avevano condannato, pone l'ignoranza quale motivo della richiesta
di perdono – la vede come porta che può aprirci alla conversione» (Gesù di Nazaret,
II, 233)”.
“La seconda parola di Gesù sulla croce riportata da san Luca – prosegue
il Papa - è una parola di speranza, è la risposta alla preghiera di uno dei due uomini
crocifissi con Lui. Il buon ladrone davanti a Gesù rientra in se stesso e si pente,
si accorge di trovarsi di fronte al Figlio di Dio, che rende visibile il Volto stesso
di Dio, e lo prega: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42).
La risposta del Signore a questa preghiera va ben oltre la richiesta; infatti dice:
«In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43). Gesù è consapevole
di entrare direttamente nella comunione col Padre e di riaprire all’uomo la via per
il paradiso di Dio. Così attraverso questa risposta dona la ferma speranza che la
bontà di Dio può toccarci anche nell’ultimo istante della vita e la preghiera sincera,
anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende
il ritorno del figlio”.
Il Papa si è poi fermato sulle ultime parole di Gesù
morente. “L’Evangelista racconta: «Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta
la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del
tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani
consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò» (vv. 44-46). Alcuni aspetti di questa
narrazione sono diversi rispetto al quadro offerto in Marco e in Matteo. Le tre ore
di oscurità in Marco non sono descritte, mentre in Matteo sono collegate con una serie
di diversi avvenimenti apocalittici, come il terremoto, l’apertura dei sepolcri, i
morti che risuscitano (cfr Mt 27,51-53). In Luca, le ore di oscurità hanno la loro
causa nell’eclissarsi del sole, ma in quel momento avviene anche il lacerarsi del
velo del tempio. In questo modo il racconto lucano presenta due segni, in qualche
modo paralleli, nel cielo e nel tempio. Il cielo perde la sua luce, la terra sprofonda,
mentre nel tempio, luogo della presenza di Dio, si lacera il velo che protegge il
santuario. La morte di Gesù è caratterizzata esplicitamente come evento cosmico e
liturgico; in particolare, segna l’inizio di un nuovo culto, in un tempio non costruito
da uomini, perché è il Corpo stesso di Gesù morto e risorto, che raduna i popoli e
li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue”.
Quindi aggiunge:
“La preghiera di Gesù, in questo momento di sofferenza – «Padre, nelle tue mani consegno
il mio spirito» - è un forte grido di estremo e totale affidamento a Dio. Tale preghiera
esprime la piena consapevolezza di non essere abbandonato. L’invocazione iniziale
- «Padre» – richiama la sua prima dichiarazione di ragazzo dodicenne. Allora era rimasto
per tre giorni nel tempio di Gerusalemme, il cui velo ora si è squarciato. E quando
i genitori gli avevano manifestato la loro preoccupazione, aveva risposto: «Perché
mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (Lc 2,49).
Dall'inizio alla fine, quello che determina completamente il sentire di Gesù, la sua
parola, la sua azione, è la relazione unica con il Padre. Anche sulla croce Egli vive
pienamente, nell’amore, questa sua relazione filiale con Dio, che anima la sua preghiera”.
Benedetto XVI rileva che “le parole pronunciate da Gesù, dopo l'invocazione
«Padre», riprendono un'espressione del Salmo 31: «Alle tue mani affido il mio spirito»
(Sal 31,6). Queste parole, però, non sono una semplice citazione, ma piuttosto manifestano
una decisione ferma: Gesù si «consegna» al Padre in un atto di totale abbandono. Queste
parole sono una preghiera di «affidamento», pieno di fiducia nell’amore di Dio. La
preghiera di Gesù di fronte alla morte è drammatica come lo è per ogni uomo, ma, allo
stesso tempo, è pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre
e dalla volontà di consegnarsi totalmente a Lui. Nel Getsemani, quando era entrato
nella lotta finale e nella preghiera più intensa e stava per essere «consegnato nelle
mani degli uomini» (Lc 9,44), il suo sudore era diventato «come gocce di sangue che
cadono a terra» (Lc 22,44). Ma il suo cuore era pienamente obbediente alla volontà
del Padre, e per questo «un angelo dal cielo» era venuto a confortarlo (cfr Lc 22,42-43).
Ora, negli ultimi istanti, Gesù si rivolge al Padre dicendo quali sono realmente le
mani a cui Egli consegna tutta la sua esistenza. Ancora prima della partenza per il
viaggio verso Gerusalemme, Gesù aveva insistito con i suoi discepoli: «Mettetevi bene
in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli
uomini» (Lc 9,44). Adesso, che la vita sta per lasciarlo, Egli sigilla nella preghiera
la sua ultima decisione: Gesù si è lasciato consegnare «nelle mani degli uomini»,
ma è nelle mani del Padre che Egli pone il suo spirito; così – come afferma l’Evangelista
Giovanni – tutto è compiuto, il supremo atto di amore è portato sino alla fine, al
limite e al di là del limite”.
Questa la conclusione del Papa: “Cari fratelli
e sorelle, le parole di Gesù sulla croce negli ultimi istanti della sua vita terrena
offrono indicazioni impegnative alla nostra preghiera, ma la aprono anche ad una serena
fiducia e ad una ferma speranza. Gesù che chiede al Padre di perdonare coloro che
lo stanno crocifiggendo, ci invita al difficile gesto di pregare anche per coloro
che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre, affinché la luce
di Dio possa illuminare il loro cuore; ci invita, cioè, a vivere, nella nostra preghiera,
lo stesso atteggiamento di misericordia e di amore che Dio ha nei nostri confronti:
«rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», diciamo
quotidianamente nel «Padre nostro». Allo stesso tempo, Gesù che nel momento estremo
della morte si affida totalmente nelle mani di Dio Padre, ci comunica la certezza
che, per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza,
non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono
e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito
e fedele”.